Percorsi di emozioni sulle falde del Vesuvio

«La nube si levava, non sapevamo con certezza da quale monte, poiché guardavamo da lontano; solo più tardi si ebbe la cognizione che il monte era il Vesuvio...Come da un tronco enorme la nube svettò nel cielo e si dilatava e quasi metteva rami. Credo, perché prima un vigoroso soffio d’aria, intatto, la spinse in su, poi sminuito l’abbondò a se stessa…»: queste frasi sono tratte dal primo documento scritto dedicato al vulcano partenopeo, firmato da Plinio il Giovane, che in una lettera a Tacito descrive la terribile eruzione del 79, soprannominata “pliniana” proprio perché vi perse la via lo zio naturalista e filosofo, Plinio il Vecchio, e vennero distrutte le città di Pompei, Ercolano e Stabia.

Il percorso di trekking del Cono Grande.
L’ascesa a questo totem della natura dalla forma tronco-conica, la cui vetta si trova a quota 1.277 metri, mentre il cratere vanta attualmente un diametro di 450 metri e una profondità di 300, non può che essere letteraria prima che fisica: gli scrittori, per vedere da vicino la sua bocca, silente o fumante che fosse, sin dall’antichità sono sempre stati disposti a rischiare, pur di trarre “fuoco” ai fini dei loro reportage. Goethe addirittura lo scalò tre volte, trovandosi a camminare sotto una pioggia di lapilli: «Raggiunta in carrozza Resina, iniziai a dorso di mulo la salita tra i vigneti - scrive nel Viaggio in Italia -; proseguii a piedi sopra la lava del ’71, già ricoperta di muschio fine ma tenace, e procedetti sul fianco della colata. Lasciai alla mia sinistra, in alto, la capanna dell’eremita e scalai infine, fatica davvero improba, il cono di cenere. Il vertice era per due terzi sotto le nuvole». Anche Giacomo Leopardi amava questa icona del Meridione, e ne condensa l’infingarda e straordinaria essenza nell’incipit de La Ginestra, o fiore del Deserto: «Qui su l’arida schiena Del formidabil monte Sterminator Vesevo, La qual null’altro allegra arbor nè fiore, Tuoi cespi solitari intorno spargi, Odorata ginestra…». Impressionante, vivida, è anche la descrizione che ne dà Curzio Malaparte ne La pelle : «E là, di fronte a noi, tutto avvolto nel suo mantello di porpora, ci apparve il Vesuvio. Quello spettrale Cesare dalla testa di cane, seduto sul suo trono di lava e di cenere, spaccava il cielo con la fronte incoronata di fiamme, e orribilmente latrava… L’albero di fuoco che usciva dalla sua gola affondava profondamente nella volta celeste, scompariva negli abissi superni».

La sede storica dell’Osservatorio Vesuviano, sul Colle del Salvatore
Letteratura alla mano, si è davvero pronti per affrontare il pathos scenografico della Valle del Gigante ove il vulcano è incastonato, suddivisa tra la Valle dell’Inferno e l’Atrio del Cavallo, lo spettacolo degli ondulati, rugosi pendii digradanti, i solchi profondi e i valloni radiali scolpiti per effetto dall’erosione, sino ad arrivare alle vertiginose pareti del cono che precipitano a picco nella pancia misteriosa del cratere. Questo lento ed emozionante trekking di avvicinamento avviene nella sicurezza dei percorsi approntati dal Parco Nazionale del Vesuvio, undici per un totale di 54 chilometri, godendo di una prospettiva visiva senza eguali: avanzare sul sentiero del Gran Cono, in particolare, significa abbracciare con un solo sguardo la Campania tutta, fino al Lazio. Anche il sentiero numero 2 è suggestivo sul piano botanico, ma non solo: partendo dal Palazzo Mediceo di Ottaviano ci si inoltra in una fitta macchia di pini, castagni, ontani napoletani, lecci, robinie, osservando il minuto picchio rosso minore. Giunti all’incrocio con altri tragitti ascensionali tappezzati di ginestra fiorita e muri a secco di epoca borbonica, si imboccano di continuo svolte affacciate sui tredici paesi vesuviani. Tra essi, va raggiunto Boscoreale per il suo Antiquarium, in cui è testimoniata la vita quotidiana degli abitanti della zona prima dell’eruzione del 79, con reperti archeologici provenienti dalle ville patrizie romane, mentre a Ottaviano si raggiunge il castello ricostruito a partire dal 1567 da Bernardetto de’ Medici e si visita il santuario di san Michele Arcangelo, dove si è sempre pregato per placare il Vesuvio. Invece a Sant’Anastasia si va per vedere i fabbri del rame, specialmente alla fucina della famiglia Porritiello che forgia da quasi un secolo pentole belle ed eterne.

L’eruzione del Vesuvio del 1782 dipinta da Pierre-Jacques Volaire. L’ultima si è verificata nel 1944.
La paura quassù è stata esorcizzata anche con la musica, ed ecco dunque che l’imminente estate offrirà l’occasione per assistere a esibizioni di tammurriate, fronne ’e limone, canti ’a figliola, espressioni della musica di tradizione orale che si tengono ad esempio alla Festa dei Quattro Altari, a Torre del Greco in giugno, e a quella delle Lucerne a Borgo Casamale: qui in autunno si potrà assaggiare la Catalanesca del Vesuvio, varietà di uva portata a Napoli da Alfonso I d’Aragona nel XV secolo. Sublime è anche il Pomodorino del Piennolo del Vesuvio, una qualità DOP che racchiude antichi cultivar e biotipi locali, capace di esaltare la cucina locale nel tradizionale La Casa Rossa a Ercolano o dal creativo e giovane chef Giuseppe Molaro al suo Contaminazioni, premiato con la stella Michelin.

Affreschi settecenteschi “alla pompeiana” di Angelo Mozzillo nel Palazzo Mediceo di Ottaviano
Allontanarsi dal magnetismo e sincretismo del vulcano sarà difficile: meglio guardarlo ancora una volta nell’elegante, storica palazzina neoclassica dell’Osservatorio Vesuviano, sopra il Colle del Salvatore a Ercolano, che sembra un po’ un tempio dedicato al vulcano.
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