Pandemia di Aviaria, la previsione degli scienziati su dove e come potrebbe scoppiare

Torna con una previsione che preoccupa. Del pericolo che sullo scenario mondiale si scateni un’influenza aviaria gli esperti hanno già parlato, ma che possa risultare anche peggiore del Covid, portando contagi a catena e una mortalità che potrebbe toccare il 50%, è cosa che inquieta. A prospettarlo è uno studio indiano condotto dai ricercatori Philip Cherian e Gautam I. Menon del Dipartimento di Fisica dell'Università di Ashoka.
Il ceppo potenzialmente responsabile della pandemia di aviaria è l'H5N1, che da qualche anno ha generato una panzoozia, ossia si è diffuso in molteplici specie animali. Questo virus ha causato la morte di milioni di uccelli (sia selvatici che da allevamento), uccisi dalla malattia o abbattuti per prevenirne la diffusione, ma i contagi sono stati registrati anche tra grandi felini, mustelidi, orsi, foche, gatti, molti dei quali hanno perso la vita, e pure tra maiali e mucche da latte.
“La diffusione a livello geografico dell’influenza aviaria è senza precedenti, non perché sia inatteso che questo virus influenzale possa muoversi anche lungo distanze molto lontane, e infatti è associato ai volatili e si muove in volo, ma quello che sta succedendo ci mette di fronte ad un patogeno altamente aggressivo - spiega Isabella Monne, dirigente veterinario Istituto Zooprofilattico sperimentale delle Venezie –. Prima viaggiavano con i volatili selvatici virus pressoché innocui, oggi con il sottotipo H5 è tutto diverso. Questo patogeno è stato in grado di adattarsi progressivamente ai volatili selvaggi migratori e con loro si è spostato a livello globale. Oggi siamo di fronte ad una ‘panzoozia’, che nel mondo è l’equivalente della pandemia nell’uomo”.
Infetta anche gli umaniMa quando parliamo di Aviaria dobbiamo necessariamente guardare anche agli effetti che ha provocato tra gli umani. I primi casi risalgono agli anni '90 in Cina. Ad oggi, secondo i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l'infezione è stata rilevata in poco meno di 1.000 persone di 25 Stati, e ha provocato 475 morti. Gli esperti ritengono però che i contagi reali siano molti di più di quelli rilevati dalle indagini epidemiologiche, soprattutto tra allevatori di polli e bovini, dove negli ultimi mesi sono state registrate decine di infezioni solo negli Stati Uniti (con la prima vittima accertata). Anche tra i veterinari è stata verificata la presenza di anticorpi, segno che l'infezione, in ambienti limitati, circola.
Lo studioIn questo quadro si inserisce il nuovo studio indiano. Cherian e Menon sottolineano che l'Asia meridionale o sud-orientale sia “probabilmente la sede iniziale di un focolaio” e per questo hanno simulato lo spillover in un villaggio indiano con circa 10.000 persone. Attraverso una simulazione (BharatSim) effettuata al computer hanno modellato uno scenario in cui questo potrebbe verificarsi, determinando in che modo si potrebbe perdere il controllo delle prime infezioni, e anche cosa fare per prevenire la pandemia. Più precisamente, i ricercatori hanno scelto una versione sintetica di un villaggio nel distretto di Namakkal, nello Stato del Tamil Nadu, in India.
Questo perché ospita 1.600 allevamenti di pollame con circa 70 milioni di animali. Ogni giorno vengono prodotte 60 milioni di uova. È un luogo in cui l'influenza aviaria potrebbe passare efficacemente dai polli infetti agli allevatori e innescare una reazione a catena, analoga a quella che alla fine del 2019, in un mercato umido di Wuhan, ha fatto scoppiare la pandemia Covid. I due scienziati sottolineano di aver considerato “una popolazione sintetica che rappresenta i contatti primari in un focolaio di epidemia con uccelli infetti.” “Questi contatti primari trasferiscono le infezioni ai contatti secondari (domestici), da dove l'infezione si diffonde ulteriormente - evidenziano gli studiosi -. Abbiamo simulato scenari di epidemia in allevamenti e mercati rionali, tenendo conto della struttura della rete di contatti umani e della stocasticità del processo di infezione (fenomeni che evolvono in modo casuale, aleatorio o probabilistico nel tempo, studiati tramite il calcolo delle probabilità e modelli matematici chiamati processi stocastici). Inoltre abbiamo simulato molteplici interventi, tra cui l'abbattimento degli uccelli, le quarantene e le vaccinazioni”.
La soglia di allarmeCos’è emerso? “Se un uccello infetta con il virus H5N1 capace di trasmettersi da uomo a uomo, superato il numero di casi da 2 a 10 è molto probabile che l'infezione colpisca anche altre persone al di fuori dei contatti primari e secondari, ovvero gli allevatori (o i clienti) esposti direttamente agli uccelli infetti e i loro famigliari e amici - rilevano i due esperti -. Quando vengono identificati 10 casi, è verosimile che la situazione sia già sfuggita di mano. E una volta che risultano infettati anche amici di amici e altri contatti terziari, l'unico modo per fermare la potenziale pandemia sarebbe il lockdown. Per questo è necessario intervenire precocemente con quarantene e altre misure preventive con l'identificazione del primissimo caso”.
Ma c’è un problema: “Una quarantena introdotta troppo presto favorirebbe la diffusione del virus anche agli altri familiari - precisano Cherian e Menon -. Mentre introdurla troppo tardi farebbe sfuggire la situazione di mano. L'abbattimento degli uccelli positivi, inoltre, sarebbe efficace solo se ciò viene effettuato prima di individuare il primo caso umano. Infine va considerato il fatto che lo studio poggia sulla premessa che il virus H5N1 possa trasmettersi efficacemente da una persona all'altra come il coronavirus SARS-CoV-2, ma potrebbe non andare proprio in questo modo, visto che la trasmissione è complessa e non tutti i ceppi hanno la stessa efficacia.
Il ceppo minore che preoccupaNegli ultimi tempi, poi, è spuntata un’altra incognita. Nella carta d’identità dell’Aviaria è comparsa un’ulteriore caratteristica: la prossima pandemia umana potrebbe essere scatenata da un altro ceppo, a lungo considerato il ’minore’ della famiglia perché provoca principalmente malattie lievi negli uccelli. Si tratta dell’H9N2 che, come ha certificato un gruppo di ricercatori dell’Università di Hong Kong, si è adattato meglio a infettare gli esseri umani ed è quindi sotto sorveglianza. L’allarme è stato lanciato a fine ottobre scorso in occasione del Pandemic Research Alliance International Symposium di Melbourne, in Australia.
Sull’argomento è intervenuto anche Kelvin To, microbiologo clinico all’Università di Hong Kong, secondo il quale “si sta prestando meno attenzione all’H9N2, nonostante sia il secondo ceppo più comune di influenza aviaria che infetta gli esseri umani”. “Dal 1998 l’H9N2 ha causato 173 infezioni umane, principalmente in Cina”, spiega To. E Michelle Wille, che studia l’Aviaria al Peter Doherty Institute for infection and immunity di Melbourne, evidenzia: “Questo ceppo potrebbe essere più diffuso di quanto pensiamo. Probabilmente le infezioni non vengono rilevate perché non provocano conseguenze gravi o ricoveri ospedalieri, o perché le persone vengono invece sottoposte più comunemente al test per l’H5N1”.
L’équipe di esperti italianaA chiarire ulteriormente il concetto è Antonia Ricci, direttore generale Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie. “L’Aviaria è una malattia dei volatili sostenuta da un virus influenzale, in questo periodo soprattutto dal virus H5N1 che ha dimostrato delle capacità incredibili di passare dagli uccelli selvatici agli animali allevati (polli, tacchini, galline ovaiole) – dice -. Ma più recentemente ciò è avvenuto in molti mammiferi, e in alcuni casi il virus è stato capace di fare il cosiddetto ‘salto di specie’, quindi di essere pericoloso per l’uomo”.
All’Izs delle Venezie è attivo il Centro di referenza nazionale (Crn) e l’istituto fa parte della Rete Izs europea per l’Aviaria. “Ci occupiamo di fare la sorveglianza negli animali e anche nell’interfaccia tra gli animali e l’uomo, proprio per studiare il virus ed evidenziare queste situazioni di salto di specie che possono essere pericolose per la salute - sottolinea Ricci -. È un patogeno che ha la capacità di fare un salto di specie e sappiamo che le grandi pandemie del passato sono state sostenute da virus influenzali che avevamo mescolato virus umano e aviario”.
Venti focolai in ItaliaMa l’Aviaria in Italia come si sta muovendo? A rispondere è ancora Ricci. Che spiega: “In questo momento, per fortuna, i virus che circolano sia a livello italiano che internazionale non hanno quelle caratteristiche che lo rendono particolarmente pericoloso per l’uomo. Però è certamente una malattia che va sorvegliata continuamente e con grande attenzione. La situazione in Italia è molto preoccupante per quanto riguarda gli uccelli selvatici, nel senso che noi continuiamo a trovare in queste specie animali positivi e ciò mette a rischio soprattutto i nostri allevamenti. In questo momento, che è la stagione con il picco di influenza aviaria, abbiamo circa una ventina di focolai. Una situazione che comunque possiamo definire sotto controllo”.
Cosa fare per fermare il virusCosa fare quindi per arginare l’eventuale diffondersi del virus? Secondo Calogero Terregino, responsabile Centro di referenza nazionale per l’influenza aviaria, la prevenzione è la chiave di volta. “Le misure partono alcuni mesi prima dell’inizio della stagione dell’influenza aviaria, il periodo dell’autunno-inverno quando arrivano gli uccelli migratori che portano il virus - dice Terregino -. La prevenzione si fa attraverso una collaborazione tra le regioni, il ministero della Salute e le aziende. Prevede una regolamentazione degli accasamenti, alcuni fermi programmati per ridurre la densità degli allevamenti, e alcune misure che possono prevenire il contatto con gli uccelli selvatici, come la chiusura degli animali nei capannoni e non più all’aperto”.
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