Depenalizzazione atto medico e scudo erariale minano la piena funzionalità della Pa e dalla sanità


Tutto il personale delle aziende sanitarie da tempo incontra grandi e quotidiane difficoltà lavorative. Per i sanitari, le carenze organiche impongono turni massacranti e la situazione è aggravata da un eccesso di burocrazia della quale si lamentano, giustamente, sia i dirigenti sanitari che professionisti del comparto.
Dal canto loro, gli amministrativi devono continuamente districarsi tra leggi scritte male o obsolete e basterebbe citare le astrusità del codice degli appalti o della normativa concorsuale per testimoniare come due funzioni fondamentali come gli acquisti di beni e servizi e il reclutamento siano ormai difficili da espletare correttamente e in modo celere.
In questo scenario si aggirano due particolari incubi per il personale: la responsabilità penale e quella erariale. La prima è legata strettamente alla tematica della depenalizzazione dell’atto medico, rivendicazione prioritaria dei sindacati medici, rispetto alla quale tuttavia si rileva uno stallo completo e degli esiti della commissione D’Ippolito si sono ormai perse le tracce. La seconda coinvolge le direzioni strategiche e i dirigenti Pta, anche se non è affatto escluso che un medico o un veterinario e altri professionisti sanitari possano incorrere nel danno erariale. Nel suo stato odierno, sembra più lineare la situazione della responsabilità amministrativa, almeno formalmente; ma in questi ultimi giorni è accaduto qualcosa che definire surreale è davvero poco. Vediamo di cosa si tratta.
Sulla Gazzetta ufficiale del 12 maggio è stato pubblicato un decreto legge di poche righe – il n. 68 del 12.5.2025 - che interviene sulla annosa questione del cosiddetto scudo erariale. Le complesse vicende dello scudo erariale sono note, ma vale la pena di riassumerle brevemente. In pieno stato di emergenza dovuto alla pandemia, il legislatore con il DL 76/2020, convertito in legge 120/2020 – il cosiddetto “decreto-semplificazioni” - ha limitato la responsabilità penale ed erariale dei funzionari pubblici, per combattere l’inerzia nell’attività amministrativa e favorire così la ripresa del Paese dopo la pandemia da Covid-19. Riguardo alla responsabilità amministrativo-contabile, il decreto ha introdotto delle forti attenuazioni al fine di schermare, limitatamente al periodo di emergenza, la responsabilità dei dipendenti e degli amministratori pubblici per i danni cagionati alla Pubblica amministrazione a seguito di condotte attive connotate da colpa grave. La misura, battezzata “scudo erariale”, ha visto estendere il suo ambito temporale di applicazione dal 2020 in poi, da ultimo con una proroga fino al 31 dicembre 2024 ad opera dell’art. 8, comma 5-bis, della legge 18/2024 di conversione del decreto Milleproroghe 2024.
La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale della Campania, aveva però sollevato la questione di legittimità costituzionale, ritenendo che l’art. 21, comma 2, del DL 76/2020 fosse in contrasto con il principio di eguaglianza, con quella di efficienza e buon andamento dell’amministrazione, prevedendo l’impunità di condotte gravemente colpose che cagionano danno all’intero apparato amministrativo, il quale deve sopportare il peso – anche economico – delle condotte illegittime dei suoi dipendenti. Nondimeno, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 132 del 17.7.2024, ha dichiarato la legittimità costituzionale della norma in questione.
In estrema sintesi, la Consulta ha ricordato il fenomeno della “paura della firma”, precisando che “per superare la grave crisi e rimettere in movimento il motore dell’economia, il legislatore ha ritenuto indispensabile che l’amministrazione pubblica operasse senza remore e non fosse, al contrario, a causa della sua inerzia, un fattore di ostacolo alla ripresa economica”. La decisione della Corte tuttavia ha limitato la costituzionalità dello scudo a situazioni temporanee e fortemente motivate dal risultato di amministrazione: prima lo stato di emergenza e successivamente la realizzazione del Pnrr. Infine, nel decreto legge 202/2024, il Milleproroghe 2025, con l’art. 1, comma 9, era stata introdotta una proroga fino al 30 aprile 2025, francamente incomprensibile.
L’ennesimo intervento governativo di pochi giorni fa sulla problematica rivela però alcuni aspetti di preoccupante criticità. Innanzitutto, viene di fatto eluso il contenuto della sentenza della Consulta, senza peraltro aver risolto la questione in modo definitivo e strutturale. I rilievi della Corte dei conti campana erano chiari e le stesse motivazioni dei giudici costituzionali puntavano sugli aspetti congiunturali e temporanei per giustificare l’adozione dello scudo erariale. Come si spiegano razionalmente altri otto mesi di stallo se non con la manifesta incapacità di trovare una soluzione strutturale?
Ma è sul piano della tecnica legislativa che sorgono le maggiori perplessità perché dalla ennesima proroga rimanevano scoperti 11 giorni, buco temporale che gli estensori del decreto hanno ritenuto di colmare affermando che “.... trova applicazione anche per i fatti commessi tra il 30 aprile 2025 e la data di entrata in vigore del presente decreto”. In realtà, la soluzione di continuità dello scudo erariale è stata irrimediabilmente compromessa, perché quello attuato non è un differimento o una proroga, visto che gli effetti giuridici della norma erano formalmente cessati il 30 aprile. Si tratta allora di una rinnovazione della norma del 2020, che è tutt’altro. Ma l’aspetto più inquietante è che sembra essere stato violato un principio fondante del nostro ordinamento giuridico, quello sancito dell’art. 11 delle Preleggi, laddove si afferma che “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.
Oltretutto, la domanda sorge spontanea: ma non potevano accorgersene prima? Le occasioni non mancavano, a cominciare dalla conversione in legge del DL 25/2025, il decreto Pa. A tale ultimo proposito, i numerosi emendamenti presentati in Senato hanno allungato i tempi della conversione la cui legge è stata pubblicata il 13 maggio, per cui non era più lo strumento idoneo. Inoltre, giaceva da tempo in Parlamento il Ddl AC 1621 il cui art. 1 intende risolvere la questione della responsabilità amministrativa e per danno erariale. Anche in questo caso, tuttavia, il tempo è stato tiranno, perché il disegno di legge a firma Foti venne presentato il 23.12.2023, è stato approvato dalla Camera solo il 9.4.2025 ed è passato al Senato come AS 1457 il 23.4.2025. Ecco plausibilmente il motivo per il quale il Governo ha dovuto ricorrere in fretta e furia – ma, comunque, con undici giorni di ritardo – a un decreto urgente: che poi nelle premesse si affermi “la straordinaria necessità e urgenza di continuare ad applicare la disciplina di cui….” genera quantomeno perplessità.
La depenalizzazione dell’atto medico e lo scudo erariale sono due tematiche maledettamente complicate ma costituiscono anche il paradigma di una deriva costante dello stato di diritto e della sostanziale incapacità del legislatore nel trovare soluzioni razionali e stabili a problemi che - benché siano oggettivamente quasi inestricabili - minano tuttavia la piena funzionalità della pubblica amministrazione e, in particolare, della Sanità.
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