TC: Una buona richiesta di ispezione, una cattiva decisione

Dopo che la Corte Costituzionale (TC) ha emesso, il 30.01.2023, la sua seconda Sentenza sulla legge sull'eutanasia e il suicidio assistito (Sentenza n. 5/2023), ho scritto un articolo dal titolo "Una cattiva richiesta di sorveglianza ha dato origine a una cattiva sentenza" ( pubblicato qui ), in cui ho attribuito gran parte della responsabilità della scarsa qualità della sentenza sopra menzionata alla scarsa qualità della richiesta di sorveglianza presentata dal Presidente della Repubblica, sia per le poche norme in essa contestate, sia per l'insufficiente motivazione fornita all'epoca.
La sentenza emessa dalla Corte Suprema il 22 aprile, sentenza n. 307/2025 , ha dimostrato che, dopotutto, anche di fronte a una richiesta di ispezione valida (e fondata), la Corte Suprema ha comunque emesso una sentenza errata.
Il motivo per cui, a mio avviso, la Corte Suprema ha emesso una sentenza errata non è solo di natura quantitativa, ma deriva dal fatto che la Corte Suprema ha dichiarato l'incostituzionalità, con efficacia vincolante generale, solo di sei norme della Legge sulla morte (indotta e) assistita, Legge n. 22/2023, del 25.05, e non ha dichiarato l'incostituzionalità delle restanti decine di norme, la cui incostituzionalità era stata giustamente sollevata nella richiesta di ispezione presentatale da 56 deputati del PSD, una delle richieste che, insieme alla richiesta di ispezione presentata dal Difensore civico, è stata ora presa in considerazione dalla Corte Suprema.
È importante rilevare che, nella richiesta di ispezione presentata dai deputati del PSD (composta da 300 pagine), la richiesta principale era quella di dichiarare l’incostituzionalità dell’ammissibilità del “suicidio assistito” stesso, data la sua non conformità e incompatibilità con le norme e i principi costituzionali; e, in via subordinata, la dichiarazione di incostituzionalità della maggior parte delle norme di legge, sia quelle relative ai requisiti di legge, sia quelle relative ai vari passaggi del procedimento stabilito.
Vorrei ricordare che la legge n. 22/2023 “regola le condizioni speciali in cui il suicidio assistito non è punibile e modifica il Codice penale”. Oltre a depenalizzare i reati di omicidio su richiesta della vittima e di suicidio assistito, se la condotta è posta in essere nel rispetto delle condizioni stabilite dalla legge, la suddetta legge ha legalizzato la “morte medica [indotta e] assistita”, stabilendo il relativo procedimento amministrativo, al termine del quale è prevista l’esecuzione della morte richiesta e la morte definitiva autorizzata.
Il motivo del mio giudizio fortemente critico sull'ultima pronuncia della TC è di natura più qualitativa e attiene alle ragioni che sono state invocate per non emettere sentenze di incostituzionalità, sia in relazione alla questione centrale della pronuncia, sia alla maggior parte delle norme di legge in esame, ragioni che in alcuni casi risultano incomprensibili e, nella maggior parte dei casi, palesemente insufficienti per rigettare i motivi di plurima incostituzionalità sollevati nell'istanza presentata dai deputati del PSD.
Bisogna dire che queste fondamenta erano, e sono, fondamenta buone e valide. Sfortunatamente, la maggior parte dei giudici del TC non l'ha interpretata in questo modo. Occorre rilevare che, delle 205 pagine della sentenza, 61 corrispondono al testo della sentenza stessa, mentre le restanti pagine contengono le dichiarazioni di voto emesse da ciascuno dei tredici giudici della TC, dodici delle quali contengono voti parziali, sia perché si ritiene che più norme di legge avrebbero dovuto essere dichiarate incostituzionali, sia perché si ritiene che ciò sia contrario, il che dimostra chiaramente la natura controversa della questione.
Sebbene questa non sia la sede appropriata per commentare la sentenza della Corte Costituzionale dal punto di vista giuridico-costituzionale, non posso comunque fare a meno di fare alcune osservazioni su alcuni punti della sentenza che ritengo particolarmente incomprensibili e inaccettabili (tra i tanti, tanti altri).
La prima osservazione riguarda la comprensione che la maggioranza dei giudici della Corte d’Appello ha dell’ambito di azione e dei poteri della Corte, comprensione che emerge immediatamente in relazione alla questione principale analizzata – “sapere se la figura stessa del suicidio assistito, quali che siano i termini della sua specifica disciplina, sia compatibile con il nostro ordinamento costituzionale” -.
Secondo la TC, "la Costituzione non impone né proibisce categoricamente la legalizzazione del suicidio assistito, affidando al legislatore un margine di considerazione tra i valori della libertà individuale e la vita umana, in particolare in situazioni cliniche caratterizzate da gravità, irreversibilità e sofferenza. Il suicidio assistito, in linea di principio, è una questione politica e spetta al legislatore, nell'esercizio della sua legittimità democratica, arbitrare la perenne tensione tra valori costituzionali di significato opposto in questo ambito della vita caratterizzato da persistenti e ragionevoli dissensi tra i cittadini" (Dichiarazione della TC).
Per la Corte Costituzionale, "poiché è innegabile che la legalizzazione del suicidio assistito implichi sacrifici e comporti pericoli, la considerazione astratta tra questi e i valori che la misura promuove – questione divisiva – eccede la funzione del controllo giurisdizionale di costituzionalità, rientrando nella sfera della deliberazione democratica. Va sottolineato che il giudice costituzionale è come un editore di leggi , non il loro autore: la responsabilità della loro sostanza politica ricade esclusivamente sul legislatore".
Il mio più grande problema con questa argomentazione della TC non riguarda tanto l'affermazione secondo cui la Costituzione "non proibisce categoricamente la legalizzazione del suicidio assistito", nonostante io (ben accompagnato da diversi giudici della TC e dalla maggioranza dei professori di Diritto Pubblico) sia assolutamente in disaccordo con essa, innanzitutto, tra le altre ragioni, perché la Costituzione portoghese è l'unica Costituzione al mondo che proibisce categoricamente la legalizzazione del "suicidio assistito", in quanto è l'unica Costituzione che proclama l'inviolabilità incondizionata della vita umana, prevedendo, al paragrafo 1 del suo art. 24°, che «la vita umana è inviolabile».
La mia più grande perplessità, e che vorrei qui esprimere, è che la TC ritiene che “la morte assistita, per principio, sia un problema di ordine politico”; è la TC a sostenere che spetta al “legislatore, nel godimento della sua legittimità democratica, arbitrare la perenne tensione tra valori costituzionali di significato opposto in questo ambito della vita”; la TC ritiene che la legalizzazione del “suicidio assistito” e la considerazione dei valori che essa mette in discussione “eccedono la funzione del controllo giurisdizionale di costituzionalità, rientrando nella sfera della deliberazione democratica”; la TC ritiene che “il giudice costituzionale è come un editore di leggi ” …!
Se questa posizione della TC fosse corretta, allora l'esistenza e la sussistenza stessa della competenza principale attribuita alla Corte costituzionale non avrebbero ragione di esistere, poiché il legislatore democratico sarebbe sempre sovrano, incontestato e indiscutibile, nelle sue scelte e opzioni politiche, in particolare quelle stabilite dalla legge.
La competenza principale della Corte costituzionale è quella di valutare l'incostituzionalità e l'illegittimità, ai sensi degli articoli 277 e seguenti. della Costituzione, ciò in quanto, come previsto dal comma 1 dell'art. 277°, “Le norme che violano le disposizioni della Costituzione o i principi in essa sanciti sono incostituzionali”.
La “morte assistita”, in linea di principio, non è solo un problema politico, è prima di tutto un problema costituzionale. E ciò viene fatto tenendo conto del contenuto specifico di alcune norme e principi costituzionali della Costituzione portoghese. Ora, è proprio compito della TC, nell’esercizio della sua funzione di controllo giurisdizionale di costituzionalità, valutare la conformità e la compatibilità delle opzioni politico-legislative con i valori e i principi costituzionali che le stesse mettono o possono mettere in discussione. Ed è tua responsabilità farlo ogni volta che ti viene chiesto.
Come si può affermare che il giudice costituzionale è come un editore di leggi? Il giudice costituzionale, pur non essendo ovviamente l'autore delle leggi, non è però solo, e neppure un mero curatore di testi giuridici. Il giudice costituzionale è, o almeno dovrebbe essere, il garante ultimo del rispetto delle norme e dei principi costituzionali, rispetto che costituisce il requisito essenziale e il fondamento della validità delle leggi, di tutte le leggi.
E se è vero che la responsabilità della sostanza politica delle leggi ricade esclusivamente sul legislatore, non è meno vero che la responsabilità della sostanza costituzionale delle leggi ricade, in ultima analisi, sul giudice costituzionale, ogniqualvolta sia chiamato a pronunciarsi. E ricordate: la competenza definita dalla legge, in particolare dal diritto costituzionale, è irrevocabile e inalienabile.
Sostenere il contrario equivale a svalutare il ruolo del giudice costituzionale e a rinunciare all'esercizio della sua competenza principale, relegandolo all'esercizio delle altre competenze secondarie, di natura meramente amministrativa. Questa non è, né dovrebbe essere, la funzione della Corte Costituzionale. Se così fosse, non varrebbe certamente la pena avere una Corte Costituzionale. Qualsiasi altro tribunale o commissione potrebbe svolgere queste funzioni secondarie.
La seconda osservazione riguarda la conclusione inspiegabile e infondata a cui è giunta la TC – secondo cui il procedimento amministrativo regolato dalla legge garantisce, con un’eccezione, la verifica dettagliata dei requisiti previsti dalla legge – quando tale conclusione è palesemente contraddetta dalla lettera della legge, come dimostrato in modo dettagliato ed esaustivo nella richiesta di ispezione presentata dai deputati del PSD.
Come affermato nella sentenza, "Ai sensi dell'articolo 3 della LMMA, i requisiti cumulativi per il diritto alla morte assistita – in linea di principio effettuata dal paziente con l'aiuto di professionisti sanitari, e che può essere effettuata da questi ultimi solo se il paziente non è fisicamente in grado di somministrare farmaci letali – sono i seguenti: (i) una persona maggiorenne prende la decisione di porre fine alla propria vita; (ii) la sua volontà di morire è attuale, seria, libera e chiara; (iii) la stessa persona si trova in una situazione di grande sofferenza; e (iv) la sua sofferenza è causata da una malattia grave e incurabile o da una lesione definitiva di estrema gravità".
Secondo il TC, “La procedura amministrativa regolata dalla legge è destinata, in larga misura, anche se non esclusivamente, a garantire la verifica approfondita di tali requisiti”.
Risulta che un'analisi attenta e precisa della legge n. 22/2023 porta a concludere esattamente il contrario e che tale affermazione non trova alcun fondamento o sostegno nella lettera della legge e, a mio avviso, nemmeno nello spirito della legge.
Come affermato dalla Commissione Giudiziaria, "Esistono due possibili modelli di morte assistita: il modello di morte su richiesta e il modello di morte con indicazioni . Nel primo, la legittimità della morte assistita dipende esclusivamente dalla libera e seria volontà del richiedente, prescindendo dall'accertamento di cause esterne, in particolare del foro somatico. (…). A sua volta, secondo il modello con indicazioni, la morte assistita non dipende esclusivamente dalla volontà del richiedente, essendo indispensabile l'accertamento cumulativo dei requisiti clinici".
Ora, fatto salvo il fatto che il legislatore portoghese ha apparentemente seguito il modello della morte con istruzioni, il modo in cui è stata specificamente regolamentata la rispettiva procedura amministrativa avvicina il diritto portoghese molto di più al modello della “morte su richiesta” che a quello della “morte con istruzioni” o requisiti.
In effetti, il modo in cui la procedura è regolata dalla legge non fornisce sufficienti garanzie che la persona che chiede di morire soddisfi effettivamente tutti i requisiti previsti dalla legge, quantomeno non fornisce a tali garanzie il grado di certezza e sicurezza che una procedura di questa natura richiede o, quantomeno, dovrebbe richiedere. Vediamo alcuni esempi.
Da un lato, non esiste alcun obbligo, né tantomeno la possibilità, di effettuare accertamenti medici per confermare l'esistenza di una lesione definitiva di estrema gravità o di una malattia grave e incurabile.
Occorre precisare che il medico a cui viene presentata la richiesta di morte – il medico curante – è scelto liberamente dal paziente e non deve essere necessariamente il suo medico di famiglia o il suo medico di base, né tantomeno uno specialista nella patologia che può colpirlo, il che significa che il medico curante non può avere alcuna conoscenza pregressa del paziente e della sua storia clinica, come, del resto, non può averla il medico specialista (scelto liberamente dal medico curante) e tantomeno i membri del CVA (solo uno di loro sarà medico), dai quali non è previsto il contatto con il paziente.
Pertanto, risulta molto difficile per il medico curante poter svolgere con rigore, adeguatezza e requisitoria gli atti che la legge gli assegna, ovvero emettere il proprio parere, fornire al paziente tutte le informazioni e i chiarimenti circa lo stato di salute e la situazione clinica che lo riguarda, i trattamenti applicabili, praticabili e disponibili, in particolare nell'ambito delle cure palliative, e la relativa prognosi.
Occorre inoltre precisare che non sono previsti requisiti formali (ad esempio elementi identificativi, malattia o infortunio subiti, storia clinica, allegato del processo clinico, ecc.) affinché la richiesta venga presentata dal paziente, a meno che non si tratti di un documento scritto, datato e sottoscritto dal paziente stesso, e non è neppure richiesto che tale firma venga apposta alla presenza del medico curante.
E sebbene la legge stabilisca che il medico curante debba accedere alla storia clinica del paziente e assumerla come elemento essenziale del proprio parere - senza tuttavia imporre tale obbligo né al medico specialista né al CVA -, tale storia clinica potrebbe non contenere elementi sufficienti per dimostrare il rispetto dei requisiti stabiliti dalla legge, ed è vero che la cartella clinica del paziente non deve nemmeno essere inclusa e integrata in questo procedimento legale (designata nella legge come RCE - "Cartella Clinica Speciale"), affinché vi possano accedere il medico specialista e il CVA.
D'altro canto, per quanto riguarda la verifica del rispetto dei requisiti relativi alla volontà del richiedente morte – volontà che deve essere attuale e reiterata, seria, libera e chiara – è importante tenere presente che: (i) i medici, i consulenti e gli specialisti potrebbero non conoscere in anticipo il paziente; (ii) ai medici, ai consulenti e agli specialisti è vietato contattare e parlare con i familiari del “paziente” a meno che il paziente non lo autorizzi; (iii) non è obbligatorio che uno psichiatra o uno psicologo specialista emetta un parere; e (iv) non è previsto che il medico specialista debba avere un contatto personale con il paziente (né con il CVA).
Inoltre, sebbene la legge stabilisca che la decisione del paziente in qualsiasi fase della procedura sia strettamente personale e non delegabile, essa prevede tuttavia che, se il paziente non sa o non è in grado di scrivere e firmare, può, in tutte le fasi della procedura, essere sostituito da una persona da lui designata.
Ora, fatta salva una situazione di grande sofferenza che incide irrimediabilmente sulla capacità della persona di prendere una decisione libera, consapevole e persino seria, tuttavia, con queste regole procedurali, come possono i medici (direttori e specialisti) e, nella maggior parte dei casi, il CVA, valutare se la volontà del paziente è seria, libera e consapevole?
Inoltre, nonostante la legge stabilisca diversi doveri che devono essere rispettati dagli operatori sanitari coinvolti nelle procedure di morte medicalmente assistita, in realtà non esiste alcun controllo o supervisione preventiva del rispetto di tali doveri (o della legge nel suo complesso) durante ogni procedura, poiché l'IGAS, a cui la legge attribuisce il potere di supervisionare le procedure, viene informato della loro esistenza solo dopo che sono stati emessi tutti i pareri favorevoli e il paziente ha messo per iscritto la sua decisione definitiva di morire, senza che all'IGAS vengano nemmeno conferiti poteri specifici di supervisione o controllo, ma solo la possibilità di essere presente al momento del decesso del paziente.
Quanto ai poteri di verifica e valutazione dell'applicazione della legge affidati al CVA, che si concretizzano nell'emissione di un parere preventivo in ogni procedura, nella predisposizione di una relazione di valutazione per ogni procedura dopo la sua conclusione e nella predisposizione di relazioni di valutazione annuali, oltre ai poteri di valutazione sopra menzionati, compresa la valutazione dei pareri emessi dal CVA stesso, essi saranno esercitati dopo la conclusione delle procedure, vale a dire dopo che il danno da morte sia stato (o possa essere) definitivamente consumato.
Ora, tra tutte le norme procedurali palesemente incostituzionali, la Corte d'Appello ha ritenuto incostituzionale solo quella che non impone al paziente di sottoporsi personalmente alla visita del medico specialista.
La terza osservazione riguarda la sorprendente argomentazione utilizzata dalla Corte Costituzionale per rigettare le censure di incostituzionalità sollevate in merito alla mancanza di una rete di cure palliative che garantisca l'effettiva disponibilità di tali cure su tutto il territorio nazionale, situazione incompatibile con il presupposto giuridico dell'esistenza di una seria, libera e consapevole volontà di morire.
Poiché circa l'80% dei pazienti che attualmente necessitano di cure palliative non vi ha effettivamente accesso, i ricorrenti hanno sostenuto che la legge non fornisce una garanzia affidabile che il paziente possa avere accesso a questa alternativa prima di intraprendere il percorso della "morte medicalmente assistita", che impedisce la formazione di una volontà di morire seria, libera e consapevole. Senza tale garanzia, la volontà di morire non è libera, poiché il paziente non ha libertà di scelta, perché non gli viene offerta alcuna alternativa.
Il modo in cui la Corte d'Appello ha ritenuto di evitare di emettere qualsiasi sentenza di incostituzionalità al riguardo è stato quello di sostenere che il comma 6 dell'art. 4 della legge sull’eutanasia, secondo cui “Al paziente è sempre garantito, se lo desidera, l’accesso alle cure palliative”, non costituisce una vera garanzia di effettiva prestazione di cure palliative e che interpretare la norma in questione in questo modo “non ha luogo nella lettera e offende lo spirito della legge, che mirava solo (…) a garantire che il paziente che avvia la procedura di morte assistita conservi il diritto a ricevere cure palliative”.
Con tutto il rispetto, questa interpretazione della TC non trova riscontro nella lettera della legge e ne offende lo spirito, essendo una vera e inammissibile interpretazione contra legem.
Da un lato, nulla nella legge sull'eutanasia consente di concludere che la formulazione di una richiesta di morte, ai sensi e in conformità con la stessa, eliminerebbe il diritto del paziente a ricevere cure palliative, diritto previsto, dal 2012, dalla legge quadro sulle cure palliative. E' quindi contraddittorio ritenere che l'unica funzione del citato comma 6 dell'art. 4) respingere un'interpretazione che non discende né dalla lettera né dallo spirito della legge sull'eutanasia.
D'altro canto, nella legge sull'eutanasia, il legislatore non si è limitato a dire che il paziente che chiede di morire ha diritto a ricevere cure palliative. Il legislatore è andato oltre, affermando che ai pazienti è sempre garantito l'accesso alle cure palliative, se lo desiderano. Il legislatore ha quindi ritenuto importante garantire l'erogazione efficace di tale assistenza sanitaria nell'ambito di questa procedura di morte anticipata e indotta dal punto di vista medico.
Ora, il problema è che o il legislatore ha mentito, perché sapeva di non essere in grado di garantire l'effettiva fornitura di questa assistenza sanitaria su tutto il territorio nazionale; oppure il legislatore non ha mentito, cosa che presumo e voglio credere, e ha voluto rendere questa procedura di morte anticipata e indotta realmente dipendente dalla precedente ed efficace fornitura di cure palliative quando tale fornitura è desiderata dal paziente. In assenza di una disposizione così efficace, non vi è alcuna possibilità di formare una volontà seria, libera e illuminata. In entrambi i casi, è in gioco l'adeguata tutela della vita umana e, pertanto, la costituzionalità della legge.
La quarta osservazione riguarda le molteplici inesattezze e contraddizioni in cui è incorsa la TC per non dover dichiarare, come era dovuto, l'incostituzionalità delle norme che regolano la composizione del Comitato di Verifica e Valutazione (CVA) e l'emissione, entro 5 giorni, del relativo parere, parere che, è bene ricordarlo, se favorevole costituirà l'autorizzazione permissiva definitiva e risolutiva all'anticipazione e alla cagionatura della morte richiesta dal paziente.
Per la Corte Suprema, "il fatto che la legge non preveda espressamente che il CVA debba conoscere il paziente, né che possa richiedere visite mediche o accedere direttamente alla sua storia clinica prima di emettere il proprio parere, non viola il divieto di insufficiente tutela della vita umana. L'intervento del CVA, ai sensi del comma 1 dell'articolo 8, ha finalità di controllo o garanzia ed è responsabile di valutare se i pareri medici e gli altri elementi contenuti nella RCE contengano le motivazioni necessarie per soddisfare la richiesta del paziente".
E in questa linea, il TC sostiene che «La valutazione effettuata dal CVA, come spiegato, rientra in una funzione di controllo o di garanzia, e non è preposta ad effettuare una valutazione ex novo dei requisiti di legge per il suicidio assistito, ovvero attraverso la diagnosi della patologia che colpisce il paziente, per cui è comprensibile che essa sia soggetta a un termine più breve».
Risulta che tale interpretazione del TC non è corretta, essendo palesemente contraddetta dalla lettera della legge, in quanto, ai sensi del comma 1 dell'art. 8 della legge, il parere del CVA si concentra “sul rispetto dei requisiti e delle fasi precedenti la procedura”.
Ora, richiedere al CVA di emettere un parere sul rispetto dei requisiti, e non solo sulle fasi antecedenti la procedura, significa richiedere al CVA di effettuare una valutazione ex novo dei requisiti di legge del “morte medicalmente assistita”, vale a dire valutare se il paziente soddisfa o meno tutti i requisiti di cui all’art. 3 della legge, e pertanto il CVA non è tenuto a valutare semplicemente se i pareri medici e gli altri elementi contenuti nella RCE (cartella clinica speciale) del paziente contengano le motivazioni necessarie per soddisfare la richiesta del paziente.
Pertanto, contrariamente a quanto affermato dalla TC, il fatto che la legge non preveda espressamente che il CVA debba conoscere e/o esaminare il paziente, né che possa richiedere esami medici o accedere direttamente alla storia clinica del paziente prima di emettere il proprio parere, viola chiaramente il divieto di insufficiente tutela della vita umana. Poiché viola il fatto che la CVA ha un solo medico nella sua composizione di cinque membri e ha solo cinque giorni per emettere il suo parere.
Inoltre, tale interpretazione della TC è in totale contraddizione con l’affermazione secondo cui “È il parere favorevole del CVA, non i requisiti materiali, a costituire oggetto del parere, a costituire, per i soggetti coinvolti nell’attuazione del suicidio assistito, la prima delle condizioni cumulative di esclusione della punibilità del fatto” previste dall’art. 28° della legge.
Poiché è in contraddizione con l'affermazione secondo cui il CVA dovrà valutare, al momento dell'emissione del parere, anche l'incapacità fisica del paziente di auto-somministrarsi farmaci letali (requisito per l'eutanasia), la cui verifica, secondo la TC, spetta al medico curante e al CVA.
Poiché è in contraddizione con il fatto che la Corte d'Appello ha dichiarato l'incostituzionalità della norma che disciplina l'intervento del medico specialista nella patologia che colpisce il paziente, in quanto non impone che il paziente sia visitato dal medico specialista. Come affermato in questo caso dalla TC, “Al regime portoghese manca quindi un ingrediente decisivo – il consulto del paziente con un medico specialista, che dovrebbe anche avere accesso alla storia clinica del paziente – per evitare quello che potremmo definire un pendio scivoloso endogeno ”. Nella maggior parte dei casi, questo ingrediente decisivo manca nel caso del CVA.
Purtroppo, contrariamente a quanto sostiene la TC, il regime portoghese non presenta molti altri elementi decisivi. Ma non tutto era negativo nella sentenza n. 307/2025.
Da un lato, la TC ha dichiarato, giustamente, l’incostituzionalità, con efficacia vincolante generale, di alcune norme della legge sull’eutanasia relative alla sussidiarietà dell’eutanasia in relazione al suicidio assistito (messa in discussione dalla negligenza del legislatore), all’intervento del medico specialista nella patologia che colpisce il paziente e al diritto all’obiezione di coscienza degli operatori sanitari, avendo addirittura dichiarato, di conseguenza, l’incostituzionalità della norma fondamentale e centrale della legge – il comma 1 dell’articolo 3 –, incostituzionalità che, come affermato dalla TC, “inficia la decisione stessa di legalizzare, a determinate condizioni, la morte medicalmente assistita”.
Sugli effetti delle sentenze di incostituzionalità – le uniche giuridicamente rilevanti e vincolanti – e delle sentenze di non incostituzionalità emesse dalla Corte costituzionale con sentenza n. 307/2025, si veda il mio recente articolo pubblicato qui .
D'altro canto, la Corte Suprema ha ribadito, e giustamente, che non esiste un diritto fondamentale alla morte autodeterminata, e tanto meno un diritto fondamentale alla morte assistita. In altre parole, non esiste alcun diritto fondamentale a morire o ad essere uccisi.
Concludo rivolgendo ancora una volta un appello ai deputati e ai partiti che sostengono questa legge sulla morte anticipata e indotta per motivi medici, affinché fermino questa ossessione ideologica e questa ostinazione legislativa e riconoscano che non saranno mai in grado di creare una legge che superi il vaglio di un giudizio di costituzionalità.
Come ho sempre affermato e non mi stanco mai di ripetere: la legge che depenalizza e legalizza la morte su richiesta è una legge innaturale, ingiusta, illegittima, illecita, immorale, immorale e palesemente incostituzionale, un vero e proprio attacco alla dignità umana, allo stato di diritto e al dovere e alla responsabilità dello Stato e della società di prendersi cura delle persone più fragili, vulnerabili e dipendenti.
La straziante legge sull'eutanasia deve essere uccisa e sepolta dai deputati dell'Assemblea della Repubblica. Quindi ci sia maggioranza e coraggio per questo, perché le ragioni non mancano.
observador