Malattie infiammatorie croniche intestinali in aumento del 25% tra gli under20

Le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI) colpiscono di più e sempre più precocemente: negli ultimi 15 anni la prevalenza nei giovani under20 è aumentata del 25%. A sostenerlo uno studio condotto negli Stati Uniti e pubblicato sulla rivista Gastroenterology.
L’impatto sulla qualità della vita dei bambini e degli adolescenti può essere devastante, specialmente a scuola e nel rapporto con gli altri. Da una nuova indagine nazionale promossa da AMICI Italia nel 2024 realizzata su un campione di studenti tra i 7 e i 20 anni affetti da MICI, è emerso che il 40% dei ragazzi ha paura ad usare il bagno a scuola, mentre 1 su 4 è stato deriso davanti agli altri per la propria condizione. E, nonostante le numerose assenze in classe legate alla malattia, solo il 17% degli studenti ha accesso a un Piano Didattico Personalizzato o a un insegnante di sostegno.
Questi sono alcuni dei temi al centro dell’evento nazionale promosso da AMICI Italia, in programma domani, sabato 17 maggio, a Bologna, alla vigilia della Giornata Mondiale delle MICI, che si celebra il 19 maggio. Si parlerà anche di tematiche cruciali come l’acceL’evento sarà trasmesso in diretta streaming sui canali social di AMICI Italia.
“Le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, sono patologie complesse a decorso cronico e recidivante – spiega Paolo Gionchetti, professore ordinario di medicina interna e primario IBD (Malattie Infiammatorie dell’Intestino) dell’IRCCS Policlinico Sant’Orsola, Università di Bologna –. Si manifestano con fasi di riacutizzazione che si alternano a periodi di remissione, spesso imprevedibili, e rappresentano una sfida clinica e umana sia per i pazienti sia per i professionisti sanitari. Le cause precise di queste patologie restano ancora sconosciute, il che ne rende ancora più difficile la gestione e la prevenzione. In Italia, si stima che oltre 250.000 persone convivano con una MICI, mentre a livello globale il numero supera i 5 milioni. Sono cifre che ci impongono una riflessione urgente sull’importanza della diagnosi precoce, dell’accesso uniforme alle terapie e del sostegno psicologico e sociale ai pazienti. Oggi il medico non può più limitarsi a gestire il solo aspetto clinico: deve adottare un approccio multidimensionale, che tenga conto della qualità di vita, del benessere emotivo, del contesto familiare, scolastico o lavorativo in cui vive il paziente. Questo significa lavorare in team con infermieri, psicologi, nutrizionisti, farmacisti e, laddove possibile, con le associazioni dei pazienti.”
La ricercaLo studio americano dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC), e condotto da ricercatori della Crohn’s & Colitis Foundation, dell’Università della Carolina del Nord a Chapel Hill e dell'Università della Pennsylvania, ha analizzato i dati riguardanti circa 2,7 milioni di bambini, adolescenti e giovani adulti di età compresa tra i 4 e i 20 anni, provenienti da cinque stati (Florida, New York, Pennsylvania, Ohio e California). Tra i risultati, oltre all’aumento della prevalenza delle MICI in generale è emerso che dal 2011, i tassi di malattia di Crohn pediatrica sono aumentati di circa il 22%, mentre i tassi di colite ulcerosa pediatrica sono aumentati di circa il 29%.
“C’è un crescente impatto delle MICI sulla popolazione pediatrica – dichiara Fernando Rizzello, professore associato presso l’unità IBD (Malattie Infiammatorie dell’Intestino) dell’IRCCS Policlinico Sant’Orsola, Università di Bologna –. Convivere con una MICI in età evolutiva significa affrontare, spesso in silenzio, dolori addominali ricorrenti, diarrea urgente, affaticamento persistente. Ma il peso della non è solo fisico: la stigmatizzazione sociale, il senso di isolamento e la scarsa comprensione da parte dell’ambiente scolastico e sociale possono trasformare anche la quotidianità più semplice, come andare a scuola, in un’esperienza di sofferenza e frustrazione”.
L’indagine Amici ItaliaI dati dell’indagine AMICI Italia fotografano una realtà difficile da ignorare: ragazzi costretti a nascondersi, a sentirsi diversi, o peggio ancora ‘colpevoli’ di un bisogno fisiologico urgente. Tanto che il 44% dei giovanissimi afferma di andare a scuola anche quando non sta bene, proprio per evitare giudizi o critiche. Un adolescente su due dichiara di avere problemi di socializzazione, ma solo una minima parte ha mai avuto accesso a percorsi di supporto psicologico. “Non possiamo più permetterci che questo accada – precisa la presidente di Amici Italia, Mara Pellizzari –. Lavoriamo per favorire una corretta inclusione che garantisca il diritto allo studio, alla salute e alla partecipazione".
Le MICI rappresentano una sfida non solo per il paziente ma anche per gli specialisti. “I medici si trovano a doverle affrontare nei diversi percorsi di diagnosi e cura in un’Italia troppo volte caratterizzate da disparità territoriali – precisa Massimo Fantini, segretario IG IBD, il gruppo italiano per studio delle malattie infiammatorie dell’intestino e professore di scienze mediche all’Università di Cagliari –. Per questo il Gruppo Italiano per la ricerca nel campo delle MICI (IGIBD) promuove la cultura medica nel campo delle MICI in tutti i suoi aspetti e si impegna a farsi portavoce a livello istituzionale delle necessità ancora insoddisfatte, come i tempi di accesso delle nuove terapie a livello regionale e la costruzione di specifici percorsi terapeutici riguardanti aspetti ancora oggi trascurati come quello dello stato nutrizionale.”
I progressi nelle cure e nella chirurgia“La chirurgia ha sempre rappresentato una componente fondamentale nella gestione delle MICI, in particolare nei casi più complessi e refrattari alle terapie mediche – sottolinea Gilberto Poggioli, professore ordinario di chirurgia, primario di chirurgia dell’apparato digerente all’IRCCS Policlinico Sant’Orsola, Università di Bologna –. Oggi l’approccio chirurgico è cambiato: interventi sempre meno invasivi, tecniche laparoscopiche e robotiche, e una maggiore personalizzazione delle strategie terapeutiche hanno permesso di ridurre i tempi di recupero e di preservare al massimo la qualità della vita del paziente”.
La Repubblica