Taranto, nessuna traccia dei tre diportisti dispersi: troppi canyon su quei fondali

È morto per annegamento il 73enne Claudio Donnaloia, il più anziano dei quattro diportisti tarantini scomparsi domenica scorsa mentre erano in mare a bordo di un’imbarcazione di poco più di 6 metri. È quanto emerso dall’esame necroscopico condotto ieri mattina nell’ospedale Santissima Annunziata dal medico legale Marcello Chironi che, su incarico del pubblico ministero Remo Epifani, ha esaminato il cadavere recuperato dai militari della Guardia Costiera e della Guardia di finanza nel pomeriggio di lunedì. Stando a quanto trapelato, non vi sarebbero sul corpo del 73enne segni differenti tali da poter ipotizzare altre cause del decesso: una ricostruzione talmente chiara che il pm Epifani ha poi ritenuto di non effettuare più l’autopsia e restituire la salma ai familiari per l’organizzazione dei funerali.
Intanto, proseguono le ricerche per il ritrovamento degli altri tre dispersi. Attorno alle 7 di domenica mattina, infatti, insieme a Donnaloia, erano salpati anche Domenico Lanzolla di 60 anni, Antonio Dell’Amura di 61 e, infine, Pasquale Donnaloia fratello della vittima, giunto dal nord Italia per le vacanze. Avevano mollato gli ormeggi a bordo di un semicabinato per una battuta di pesca sportiva dopo aver provato il motore che poco prima era stato sottoposto ad attività di manutenzione. Quella mattina, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, i quattro avrebbero dovuto attendere l’arrivo del meccanico, ma evidentemente hanno scelto di prendere comunque il largo. Al forte vento di tramontana, quindi, si è aggiunta anche la condizione di un motore evidentemente non idoneo ad affrontare il mare di quel giorno. Concause che potrebbero aver determinato l’affondamento del mezzo: gli inquirenti sono infatti ormai convinti che la barca sia sul fondo del mar Ionio, in un punto in cui la profondità raggiunge la quota di addirittura mille metri. A rinforzare questa ipotesi, inoltre, c’è il ritrovamento di un pezzo del divanetto di bordo, venuto a galla nella stessa area di mare, e recuperato dagli investigatori circa mezz’ora dopo l’avvistamento del corpo del 73enne. In quel tratto di mare, tra Taranto e Metaponto, il fondale è formato da grand canyon marini che sono diventati l’habitat ideale per delfini e capodogli.
Resta invece il massimo riserbo sulle cause della tragedia, ma la più probabile in questo momento è che la barca, in condizioni precarie di navigazione a causa del motore, potrebbe aver preso male un’onda ed essersi ribaltata. Questo spiegherebbe anche il mancato allarme lanciato dagli occupanti: un’eventuale avaria avrebbe infatti portato l’imbarcazione alla deriva, ma avrebbe comunque lasciato il tempo di recuperare un cellulare per contattare il 1530 delle emergenze in mare. E invece nulla. Nessuna chiamata alla Capitaneria e neppure ai familiari, segno che qualcosa di improvviso e inatteso ha impedito ai diportisti di prendere contromisure. L’ultimo contatto con le famiglie, infatti, è stato registrato alle 11, poi il silenzio assoluto. I cellulari sono risultati irraggiungibili e dei quattro, che avevano assicurato di fare rientro per ora di pranzo, più nessuna notizia. Fino alle 14 i familiari hanno atteso senza farsi prendere dall’ansia. La preoccupazione è cresciuta quando alle 17 di domenica ancora non si avevano notizie e di lì è partito l’alert ai militari guidati dal Capitano di Vascello Rosario Meo. Da quel momento sono scattate le ricerche, che proseguono ancora per gli altri tre dispersi, ma le speranze appaiono ormai appese a un lumicino.
«Alla famiglia di Claudio Donnaloia per dolorosa perdita e ai parenti dei tre uomini ancora dispersi va l’abbraccio solidale della nostra città» ha scritto Piero Bitetti sindaco di Taranto aggiungendo «Restiamo uniti nel sostegno alle famiglie coinvolte e grati alle istituzioni impegnate nelle ricerche».
La Gazzetta del Mezzogiorno