L’attore Ezra Miller è uscito dal suo abisso personale. E ha qualcosa da dire

“Sono queer, ma essere queer non è una situazione statica, data una volta per tutte. Mi piacerebbe che venisse usata un’altra parola, al posto di queer. La parola ‘becoming’: una persona in divenire”.
Che cosa è importante, oggi, per la comunità queer – o, se vogliamo usare il suo termine – “becoming”?
“È importante che tutti i giovani siano chiari con se stessi, che accettino ciò che sono, ciò che stanno diventando, e che nessuno possa pensare che un pronome conta più di un altro. L’importante è trasmettere gentilezza, e permettere che ognuno viva la realtà di ciò che è”.
Ezra Miller era il ragazzo scontroso, carismatico in quel bellissimo film sull’adolescenza che è “Noi siamo infinito”. Era il 2012, nel cast c’era Emma Watson. Poi è stato Credence Barebone, nella saga di “Animali fantastici”. Dice: “Per me Credence rappresenta qualcuno che è stato abusato, che ha provato ad adattarsi alla vita partendo da un trauma. Qualche cosa che la maggior parte dei giovani queer attraversa nella vita”.
Oggi ha 32 anni, lunghissimi capelli neri, baffoni da messicano. A cena, ha una gonna corta e grossi anfibi neri. Lo sguardo si accende ad ogni domanda, risponde tuffandosi nelle parole, come se ne dipendesse la vita dell’universo. Si identifica come non binario.
Ha anche vissuto una delle parabole più drammatiche della storia recente di Hollywood. La pagina Wikipedia che lo riguarda riferisce di accuse di comportamenti violenti, aggressioni, disturbo alla quiete pubblica; un processo per una ambigua amicizia fra lui e una giovane attivista Lakota, iniziata quando lui aveva 23 anni e lei ne aveva 12. Per tre anni si è ritirato dalla vita pubblica. Dopo una breve apparizione al festival di Cannes, lo abbiamo ritrovato al Filming Italy festival, in Sardegna, al Forte Village resort. E parla, a ruota libera, con noi, in una delle rare interviste rilasciate negli ultimi anni.
Come si sente?
“Ho visto l’abisso, ci sono finito dentro e ne sono uscito. A volte nella vita ho avuto momenti difficili, e sono stato incapace di uscirne. Adesso sono guarito. Soffrire fa parte dell’essenza dell’essere umano. Essere una persona significa sempre essere feriti. La sofferenza è garantita, per ognuno di noi, per tutti gli esseri umani. Già solo l’atto di nascere è un trauma, è un atto ‘gore’. Ha mai visto un parto? È tosto. Le ferite ce le abbiamo tutti”.
Come vede se stesso, il se stesso di oggi e quello di ieri?
“Molte volte mi sono disprezzato: non riesco a descrivere quanto ho lottato per essere un essere umano”.
L’arte la ha aiutata?
“Al contrario: le ho chiesto troppo. Ero praticamente dipendente dall’arte come da una droga. L’arte era tutto ciò che volevo, tutto ciò a cui tendevo, da ragazzino. Il canto, la danza, la recitazione. Volevo essere amato, grazie all’arte, in un modo in cui non sono stato amato nella vita. Ma così mi sono f…”.
Hollywood non è un luogo che ama. Ha scelto di vivere nel Vermont, in una tenuta di campagna.
“C’è tanta dignità che va perduta, nel modo in cui si lavora a Hollywood. Non so, molte volte l’industria del cinema mi ha portato fuori da me stesso”.
Nei momenti difficili, come ha reagito?
“Ho trovato la benedizione dentro la maledizione, il seme dello Yang nell’enormità dello Yin. Il momento più oscuro della mia vita è stato anche il più bello. Ho tristezza e rimorso per molte cose che ho fatto, per molte cose che sono accadute in quel periodo. Ma sono molto grato per le lezioni che sono arrivate, lì in fondo all’abisso”.
Luce