Totò Lopez dice la sua: «Bari è stanca, ora basta»

Nel cuore di un’estate che segna l’inizio di un nuovo ciclo per il Bari, tra promesse di sostenibilità e la ricerca di una nuova identità tecnica, torna a farsi sentire Totò Lopez, una voce che ha lasciato un segno indelebile nella memoria dei tifosi biancorossi. Regista geniale degli anni Ottanta, simbolo di un calcio romantico e passionale, Lopez analizza il momento attuale in cui la società, guidata da Luigi De Laurentiis prova a ricostruire dalle macerie di una stagione altalenante puntando su giovani motivati e su un progetto tecnico affidato a Fabio Caserta. Avantieri il presidente ha parlato con franchezza: rimorsi, difficoltà, investimenti, ma anche la volontà di trovare una proprietà solida per riportare il Bari in serie A. Eppure, il silenzio del San Nicola e le contestazioni della tifoseria raccontano di una frattura profonda.
Lopez, da ex protagonista in campo e uomo simbolo per i tifosi, come vive oggi il distacco crescente tra la squadra e la piazza biancorossa? Crede che il silenzio del San Nicola possa davvero influenzare il futuro del club?
«Certo. Qualcuno pensa di parlare ad una città di provinciali. Fa male leggere le ultime dichiarazioni di De Laurentiis. Ha sempre delle scusanti. Come quella di dover calmierare le spese. Nessuno lo ha costretto sette anni fa a rilevare una società a zero euro. Vengono i brividi a pensare che si debba proseguire insieme sino al 2028. La multiproprietà è una porcheria. L’unica arma della gente è non andare allo stadio. Ben venga la brutta immagine».
Il presidente De Laurentiis ha parlato di “immagine” e “appetibilità” del Bari per eventuali acquirenti. Secondo lei, quanto pesa davvero il sostegno della tifoseria nel rendere un club attrattivo per nuovi investitori?
«Non è vero. La gente conosce bene questa città e la sua tifoseria. Quella barese è ineguagliabile. Anche nei momenti brutti è sempre presente. I nuovi acquirenti sanno bene di quale piazza parliamo. La delusione è solo frutto della rabbia. Con la diserzione, finalmente tutto il mondo saprà che Bari non vuole più i De Laurentiis».
Lei ha vissuto momenti di grande passione allo stadio Della Vittoria. Cosa direbbe oggi ai tifosi che meditano di disertare lo stadio per protesta? È un gesto comprensibile o controproducente?
«Dei 51 paganti di Bari-Cittadella di anni fa si continua ancora a parlare oggi. Quando le tv inquadreranno gli spalti vuoti, qualcuno si chiederà il perché. Lo stadio deserto sarà una brutta immagine per la proprietà, non per la città o per chi vuole comprare».
Alla luce delle parole del presidente e delle tensioni attuali, quale dovrebbe essere - secondo lei - il primo passo per ricostruire un rapporto di fiducia tra società, squadra e tifosi? Ci sono tifosi che si sobbarcano di mille chilometri. Quanto ancora dovranno sopportare certi trattamenti?»
«Di sicuro, non attrai le persone proponendo come obiettivo stagionale i playoff. Magalini avrebbe dovuto andare via insieme a Longo. Non capisco perché a Napoli si può sognare e a Bari no. Il calcio si fa come lo facevano De Palo, ginecologo morto povero per la maglia, e i Matarrese. Ci si indebitava pur di portare il Bari in A. E non c’erano introiti extra, come quelli delle tv. È proprio il contrario di quello che dice De Laurentiis. Ora si pensa solo a monetizzare, come fatto due anni fa con Cheddira e Caprile».
In panchina si riparte da Fabio Caserta al quale sarebbe affidato un progetto basato su giovani motivati e sostenibilità economica. Da ex calciatore, crede che questa sia una strategia vincente per Bari?
«È un bravo allenatore. Ci mette l’anima. Del resto, a chiunque viene a Bari non gli sembra vero. Ma se non gli fai la squadra, combinerà poco».
De Laurentiis ha sottolineato la necessità di “leader da spogliatoio” e di calciatori pronti a lottare per la maglia.
«Nel contesto generale, i leader servono e sono fondamentali. Il problema è trovarli. Nel Bari di oggi, non ne vedo».
Con solo otto giocatori di proprietà e tanti prestiti in uscita, il Bari sembra dover ricostruire quasi da zero. Da ex fantasista, che tipo di identità tecnica e caratteriale dovrebbe avere la nuova squadra per riconquistare il cuore dei tifosi?
«Non si può andare in giro ad elemosinare giocatori altrui. I giovani vanno bene, ma devono essere tuoi e di qualità».
Secondo lei, quanto è importante avere una guida stabile e credibile, anche a livello emotivo, oltre che economico?
«Sono i De Laurentiis a non voler trovare l’acquirente. Di Bari si parla in Italia e all’estero. Una città in crescita da fare paura. Già sette anni fa tanti puntavano al Bari. Parlai con Lotito. Lo voleva a tutti i costi».
Si è parlato molto di sostenibilità e di gestione oculata, ma anche di un campionato di serie B sempre più competitivo e dispendioso. Si può davvero costruire una squadra vincente senza investimenti, senza fare debiti e solo con idee e passione?
«I campionati non si vincono per caso. Sono deficienti i patron che mettono mano al portafogli? Non si va in A senza acquisti di peso. E se va male, nessuno te lo rinfaccerà. Il 2028 è all’orizzonte, ma non è ancora chiaro quando i De Laurentiis intendono portare il Bari al massimo».
La Gazzetta del Mezzogiorno