America’s Cup, ecco perché Team New Zealand (Dalton e de Nora) ha scelto di cambiare

C’era bisogno di un cambiamento. Per Team New Zealand, perché dopo le ultime tre America’s Cup vinte, dopo un predominio che comunque ha radici nella prima Louis Vuitton Cup vinta nel 2007 (più altre due), dunque sono diciotto anni, bisogna anche trovare nuovi stimoli. Per gli sfidanti, perché alla fine essere alla mercé delle decisioni dei Kiwi per così tanto tempo cominciava ad essere pesante. Da qui, la svolta. Per alcuni, letta come una serie di concessioni di Team New Zealand, ma forse la chiave di lettura è un’altra, che s’incardina appunto nel cambiamento. Per il bene dell’America’s Cup stessa, che deve vivere, adeguandosi ai tempi e senza perdere identità.
“Ho sempre pensato che saremmo arrivati a una soluzione, nello spirito della tradizione e al contempo aprendo la Coppa al futuro”, dice Matteo de Nora, il team principal di Team New Zealand, e in queste parole c’è più o meno tutto.
La scelta dell’Italia
Più o meno, perché i retroscena non mancano. La scelta di Napoli, anzitutto. La “fanta-Coppa” sussurra di un accordo segreto tra Luna Rossa e Team New Zealand, che comprendeva la venue (sede) italiana e il cambio di maglia di Peter Burling, il timoniere Kiwi. In realtà, l’ipotesi fa acqua. A scegliere Napoli è stato proprio De Nora, che l’ha preferita ad Atene, ripagato dalle condizioni favorevoli che ACE - la società organizzatrice della Coppa che fa capo ai Kiwi e che probabilmente si allargherà già da questa edizione con l’innesto di rappresentanti dei Challenger - ha poi trovato a livello centrale - il governo, Sport e Salute - e locale.
Team New Zealand ha sempre detto che così “siamo andati nella bocca del leone”, ritenendo Luna Rossa uno dei team favoriti, dunque regalando a questi ultimi il “fattore campo” e tifo. Che ci saranno: sicuramente l’accoglienza e il tifo, ma che secondo i neozed non diventerà il “dodicesimo uomo” come nel calcio, così come conterà fino ad un certo punto giocare in acque di casa per gli italiani, perché la meteo è una scienza inesatta che posseggono tutti i team in gara. Dunque, da qui a pensare a un accordo ce ne passa. Anzi, probabilmente Luna Rossa è stata a sua volta sorpresa della scelta.
Il discorso è più ampio se si guarda al nuovo Protocollo e all’edizione 39 della Coppa. Non è più detto che il Defender debba difendere il titolo per forza “in casa” (ma ovviamente può ancora farlo: i Kiwi, se in Nuova Zelanda ci fosse una situazione economicamente florida, lo farebbero), si può stabilire la venue prima ancora di iniziare i giochi. Si snatura la Coppa così? Cambiamento, che va anche incontro alle esigenze commerciali - sponsor, etc. - ma anche dei team, incluso quelli potenzialmente nuovi. I tempi cambiano.
La voce denari
Napoli, come evento, dovrebbe costare una cifra compresa tra gli 80 e i 130 milioni di euro. Poi, ci sono gli investimenti del governo su Bagnoli, che è un altro capitolo di spesa. Parlando dell’evento, ci sarà un a cifra base, che sarà messa a disposizione dal governo italiano e quindi, ci saranno gli sponsor. Li cercheranno ACE e anche Sport e Salute, il braccio operativo del governo per i grandi eventi, con l’intesa che se la cifra dalle sponsorship dovesse essere importante, lo stesso governo potrebbe rientrare in possesso di parte del suo investimento.
Team New Zealand, come gli altri team, deve poi trovare i soldi per il team stesso. In questo caso, può contare su uno zoccolo duro di sponsor storici (Toyota, Omega, Msc tra gli altri) che è facile pensare che rinnoveranno i contratti. Va detto che i Kiwi non sono mai stati in vetta ai budget di Coppa, si sono sempre mantenuti su una cifra vicina agli 80 milioni di dollari, contro i 100-200 di alcuni sfidanti.
Il caso Burling
Peter il Timoniere per eccellenza della Coppa moderna, con tre edizioni vinte, era l’uomo guardato a vista. Eppure, i Kiwi lo hanno lasciato andare. Perché?
Si sa che gli stipendi in Team New Zealand non sono esorbitanti (altri team offrono molto di più) e che la partecipazione al team è legata anche ad altri valori. Burling, giovane ma non più giovanissimo, avrebbe chiesto un aumento di stipendio che non ha incontrato le linee guida del team. In più, avrebbe chiesto di avere via libera in altri circuiti ed eventi, dal SailGp alle regate oceaniche (vedi il recente Fastnet sull’Ultim Lazartigue). Tutto legittimo, soldi ed esperienze. Da qui, la separazione col team.
Il fatto che sia stato ingaggiato da Luna Rossa e che ora le nuove regole consentono l’imbarco di due stranieri senza limiti (per la Fanta-Coppa tutto già risaputo in anticipo), rende la mossa Burling di Max Sirena, il Ceo del team italiano, un capolavoro. Di sicuro, Burling a bordo o anche a terra è tanta roba.
E i Kiwi? Dobbiamo parlare ancora di cambiamento. Forse, per trovare nuovi stimoli, Team New Zealand doveva voltare pagina anche su Burling. Poi, si potrebbe anche parlare della necessità di continuare a svecchiare il ruolo di timoniere, sugli AC75 l’era è più vicina ai ventenni che agli over trenta, ma forse la risposta è un mix di tutte queste ragioni.
Il ritardo del Protocollo
Se la sono presa comoda, Defender e Challenger of record, nello stilare il nuovo Protocollo? Be’, forse un po’ sì. Ma ci sono ragioni che vanno oltre la complessità della materia. La prima, è che il divorzio tra Ben Ainslie e Jim Ratcliffe, il suo sponsor a Barcellona, è stato un terremoto che ha fatto perdere all’iter diverse settimane di tempo. Ainslie, oggi leader di Athena Racing, ha dovuto anzitutto risolvere la questione dello yacht club che aveva firmato l’accordo con il Royal New Zealand Yacht Squadron per essere il Challenger of record (in un primo tempo si diceva che il ruolo spettasse per estensione a Ratcliffe, quanto boss di Britannia), dunque rimettersi in carreggiata.
Poi, il tempo si è anche allungato per le discussioni messe in atto da alcuni team, in particolare tycoon, che si sono fatti rappresentare da avvocati e che hanno insistito per portare acqua alle loro sponde. Insomma, la dialettica di sempre, forse questa volta più animata, perché si trattava davvero di un cambiamento epocale per l’America’s Cup: nuova governance, regola di nazionalità (forse il punto più dibattuto), donne…
La nuova governance
Il Defender non è più il dominus assoluto dell’America’s Cup. Ci sarà un board che rappresenterà gli sfidanti, un Ceo forse indipendente che ne sarà portavoce, questo sarà il sancta sanctorum in cui si prenderanno le decisioni più rilevanti. Il cambiamento, appunto.
La AC Partnership - così si chiama la nuova entità - è legata alle iscrizioni alla Louis Vuitton Cup. Chi entra in gioco, entra anche nella stanza die bottoni. Si può prevedere che si iscriveranno tutti i team di Barcellona. Forse. Sembrano più che probabili Athena Racing (Ainslie dovrebbe trovare nuove risorse), Luna Rossa, i francesi, gli americani e chissà se Alinghi.
Quando sarà a regime questa nuova governance? Il Protocollo dice che si costituirà già a partire dalla edizione 2027 (in realtà, con effetto immediato) e specifica anche che ACE costituirà ACE Italia, una società controllata per la gestione dell’evento di Napoli, la cui proprietà sarà trasferita alla AC Partnership. E ancora, quest’ultima dovrà rispettare tutti i contratti già posti in essere da ACE.
E’ facile prevedere che il pieno regime lo si raggiunga per preparare l’edizione 39 e che la gestione dell’evento di Napoli sia comunque ancora sotto il controllo di ACE insieme con ACP. Più in fretta si comincia e più velocemente s’impara.
I nuovi team
Grant Dalton, il Ceo di Team New Zealand, ha detto in una conversazione con un pool di media, che se verrà un nuovo team sarà italiano. Forse non per questa edizione, magari per la numero 39? Si sa dell’interesse di Roberto Lacorte, manifestato in più occasioni. E’ vero che l’occasione è ghiotta, perché la Coppa è a Napoli e gli sponsor italiani sono più interessati. Vero anche che i nuovi ingressi, già nell’edizione 38, potrebbero venire nella Youth e soprattutto Women AC, sia come presenza assoluta, sia come primo passo per una successiva partecipazione nella Louis Vuitton Cup.
Altri team? Si sarebbero fatti sentire gli australiani, mentre le voci sugli svedesi di Artemis non troverebbero conferma.
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