Il negozio non è morto, è solo distratto: i cinque trend che lo rimettono al centro del mondo

In un mercato in cui tutto parla, tutto comunica e tutto compete per un secondo di attenzione, un sospetto sorge spontaneo: non sarà che i negozi, più che in crisi, siano semplicemente… ignorati? I clienti entrano, certo, ma spesso mentalmente sono altrove, impegnati in un multitasking che non lascia scampo allo scaffale tradizionale. Da anni, Altavia -gruppo internazionale specializzato in comunicazione per il retail- osserva questi segnali, li colleziona, li interpreta. Mark Up, che da sempre fa della cultura del retail il suo terreno naturale, ha accompagnato questo lavoro trasformandolo in una monografia scaricabile e in un tour parigino che ha permesso di vedere dal vivo ciò che, sulla carta, sembra teoria ma è già pratica.
E allora eccoli qui: cinque trend che parlano chiaro. Non “tendenze” da convegno, ma traiettorie concrete, con casi reali. E una domanda di fondo: come riportare il negozio al centro, in un mondo che scorre sempre più ai bordi?
Experience Retail: come risvegliare lo zombie shopperLo zombie shopper è un fenomeno riconosciuto: presente fisicamente, assente mentalmente. Per riportarlo alla vita non bastano espositori nuovi o cartelli più grandi: serve un’esperienza che faccia click. A Parigi lo fanno benissimo. Polène accende la lentezza con la delicatezza di materiali e luci che sembrano usciti da un set fotografico. All’estremo opposto, Onitsuka Tiger trasforma il flagship in un tempio giallo pop, citazione vivente di Kill Bill. In sintesi, non è il prodotto a decidere la visita, è la scintilla emotiva e chi non sa accenderla, oggi, rischia l’irrilevanza.
Rilevanza batte presenza: la grammatica del contenutoViviamo nell’epoca del troppo. Troppi messaggi, troppi stimoli, troppo rumore: nel retail il vero problema non è la mancanza di contenuti, ma la loro inutilità. Decathlon City lo ha capito: riduce l’assortimento, esalta la funzione, permette addirittura di testare la bici su strada. Bacha Coffee, invece, celebra il prodotto con un allestimento multisensoriale che è quasi un manifesto culturale. Altavia lo definisce “sartoria dei contenuti”: ogni store, ogni target, ogni contesto ha bisogno di un messaggio giusto, non di un messaggio in più.
Retail Media: lo store che diventa un giornale (e non è un’esagerazione)Il retail media cresce, monetizza, si struttura. E cambia tutto. Se un tempo il negozio era un luogo di esposizione, oggi è una piattaforma editoriale: ha un palinsesto, dei “temi di copertina”, rubrica, ritmo. Le Bon Marché interpreta il ruolo con un piglio quasi museale: eventi, installazioni, appuntamenti stagionali. Miniso cavalca i trend social come fossero uscite editoriali.
Sephora Champs-Elysées usa la luce come strumento narrativo: cambia, si aggiorna, annuncia. In altre parole: il negozio non comunica, programma. E chi non ragiona come un editore rischia di rimanere alla finestra.
Narrative ‘Fomo’: non raccontare storie, farle vivereLa ‘Fomo’ non è più sul prodotto, è sulla community. Lo dimostra la crescita del second-hand, che in Italia vale 25 miliardi. Non è solo acquisto: è cultura condivisa. Mercato in Rue Beaubourg è l’esempio perfetto: vintage selezionato, un coffee shop, workshop, musica… un ecosistema. Printemps Hausmann dedica un intero piano alla moda circolare, trasformando il “vintage” in un’esperienza contemporanea che appartiene al target urbano, non alla nostalgia. Altavia parla di “storyliving”: non basta raccontare ciò che sei, devi creare momenti che gli altri vogliono abitare. E, possibilmente, postare.
Radical Localism: quando il local diventa strategia culturaleIl localismo non è più una spunta marketing, ma un atto di posizionamento. Grande Épicerie teatralizza territori e produttori come fossero capitoli di un romanzo gastronomico. Potager City (Carrefour) costruisce un racconto quasi didattico sulla stagionalità, parlando al consumatore urbano con un tono credibile e chiaro. E.Leclerc rafforza il legame non solo con i produttori locali ma anche con le grandi aziende francesi con messaggi trasparenti e campagne dedicate, trasformando la filiera in un valore competitivo e il messaggio in una presa di posizione che sfiora il patriottismo. È la versione evoluta del “made in”: non dove nasce un prodotto, ma dove parla quel prodotto.
La vera domandaAltavia, nel white paper, lo sintetizza con nettezza: il retail non è più transazione, ma relazione: è visione, linguaggio, cultura. La domanda, alla fine, non è cosa succede nel retail. La domanda è: cosa vogliamo far succedere noi? Perché l’attenzione non si conquista con un volantino, ma con un’identità e chi saprà costruirla -nei negozi, nei contenuti, nelle comunità- domani non venderà semplicemente prodotti: venderà rilevanza.
La Repubblica



