In Portugal dos Pequeninos, prendersi cura dei bambini continua a essere una seccatura per gli adulti

In Portogallo, la genitorialità continua a essere trattata come una questione di agenda, quando dovrebbe essere intesa come una responsabilità fondamentale. E questa differenza non è solo semantica; è strutturale. In politica, nel dibattito pubblico e spesso nelle decisioni sul posto di lavoro, avere figli è ben accetto, ma visto come un "progetto personale" con implicazioni per gli altri. Come se fosse semplicemente una scelta fatta da due adulti e che i datori di lavoro, lo Stato e la società in generale devono tollerare.
Questa potrebbe essere un'interpretazione dura, ma ne è la prova il recente disegno di legge sul lavoro che, tra le altre misure, limita i diritti dei genitori, come la revoca del congedo retribuito per lutto in gravidanza per il padre o la limitazione del tempo libero per l'allattamento, dimostrando che la genitorialità è ancora vista più come un problema da gestire che come una priorità da tutelare.
Spesso dimentichiamo che quando parliamo di genitorialità, parliamo di figli e, di conseguenza, del nostro futuro come società. Eppure, il modo in cui il Paese discute dei diritti dei genitori raramente si concentra sui figli. Gli adulti rimangono al centro dell'attenzione. La legislazione viene analizzata attraverso la lente del suo impatto sull'azienda, sui turni e sulle assenze. E il benessere dei bambini appare secondario quando dovrebbe essere l'argomento principale.
Questa settimana si celebra la Settimana Mondiale dell'Allattamento al Seno. È un buon momento per ricordare che, secondo i dati della Direzione Generale della Salute, nel 2024 solo il 21,8% delle donne continuerà ad allattare esclusivamente al seno fino a sei mesi, nonostante tutte le raccomandazioni dell'OMS. Eppure, le madri che allattano oltre il primo anno, che a giudicare dai numeri sono ben lungi dall'essere la maggioranza, continuano a essere guardate dall'alto in basso, come se stessero approfittando di un sistema permissivo. Chiunque abbia allattato al seno lo sa: non c'è nulla di permissivo nelle esigenze fisiche e mentali che questo comporta.
In un Paese in cui il tempo sembra sempre scarseggiare, l'allattamento prolungato è diventato, per alcuni, sinonimo di "meno lavoro". Riservare due ore al giorno all'allattamento non è un privilegio, ma piuttosto un modo per garantire che la madre, una delle principali figure di riferimento, possa essere più presente nella vita del bambino in un momento cruciale del suo sviluppo.
Il dibattito sull'allattamento al seno, infatti, deve maturare. Le due ore di permesso dal lavoro esistono per consentire alla madre di allattare, ma anche per garantire tempo di qualità con il bambino. Ecco perché la legislazione prevede già che, fino al primo anno di vita, questo diritto possa essere goduto indipendentemente dall'allattamento e da entrambi i genitori. Ridurre questa misura esclusivamente all'atto dell'allattamento ignora il fatto che il legame, la presenza e la cura sono importanti quanto il latte stesso. Questo è un diritto che deve essere rafforzato ed esteso a tutte le madri (e i padri) di bambini oltre il primo anno di vita, non solo a loro.
Purtroppo, la proposta del governo di rivedere la legislazione sul lavoro non ha contribuito a migliorare il dibattito. Le misure presentate – ancora in fase di bozza, è vero – sollevano diversi interrogativi: la fine del congedo di maternità per lutto, la limitazione del congedo per allattamento fino a due anni, gli ostacoli alla flessibilità dell'orario di lavoro e un nuovo regime di congedo parentale ancora avvolto in dubbi. Ma il problema non sono solo le modifiche in sé; è ciò che rivelano: una visione della genitorialità come un'eccezione amministrativa piuttosto che come un investimento sociale.
Questa difficoltà è emersa chiaramente nelle recenti dichiarazioni del Ministro del Lavoro, che ha giustificato la modifica delle esenzioni per l'allattamento al seno basandosi su "casi" in cui si sospettava un abuso dei diritti. Il problema? Non sono stati presentati dati. Nessun numero, nessun rapporto, nessuno studio. Solo una percezione soggettiva basata sul "sentito dire". Se dovessimo prendere per oro colato tutto ciò che "sentiamo", correremmo il rischio di creare leggi per controllare abusi immaginari e ignorare le esigenze reali. Legiferare basandosi su eccezioni e "ipotesi" non è solo rischioso, ma anche ingiusto. Soprattutto quando una tale legislazione incide su un diritto che tutela direttamente il tempo dedicato alla cura dei figli.
Ed è evidente. Secondo i dati Eurostat pubblicati nel 2019, il Portogallo è uno dei Paesi europei in cui i bambini trascorrono più tempo all'asilo nido: circa 39 ore settimanali, in media, fino all'età di tre anni. In altre parole, ore quasi pari a quelle dei genitori. Questo numero da solo rivela chiaramente quanto la vita professionale e familiare continuino a disallinearsi. Il tempo trascorso con i bambini dipende meno dai desideri dei genitori e più dalla struttura della vita quotidiana.
I progressi degli ultimi anni sembrano dare l'impressione che tutto questo sia un "lusso", un "extra" o un "vantaggio". E chi non ha figli spesso considera queste misure un vantaggio ingiusto. Il risultato è un dibattito di parte, in cui si discute se le madri stiano abusando del loro congedo per l'allattamento o se i padri dovrebbero effettivamente avere diritto a un congedo retribuito per lutto. Avere un figlio non è forse un progetto di coppia?
E continuiamo a focalizzare la discussione sull'adulto, ma ciò che è realmente in gioco (il tempo, il legame, lo sviluppo del bambino) è raramente al centro della conversazione.
È vero che legiferare sulla genitorialità implica delicati equilibri. Ma forse il punto di partenza dovrebbe essere diverso: non l'impatto sulla carriera degli adulti, ma i diritti di coloro che ancora non hanno voce e che dipenderanno, per qualche anno, dal tempo, dall'attenzione e dalla presenza di chi si prende cura di loro.
La genitorialità non è un favore fatto al Paese; è un pilastro della sua continuità. E proteggere chi si prende cura dei propri figli significa, soprattutto, proteggere chi cresce. Tutto il resto dovrebbe adattarsi di conseguenza, non il contrario. Dopotutto, avere figli è un processo ciclico. E se, come società, vogliamo che duri, il dibattito deve cambiare.
sapo