Elezioni a porte chiuse

Nell'attuale dinamica elettorale, i contendenti hanno detto ben poco in merito all'attuale situazione internazionale: è ovvio che venga data priorità assoluta alla realtà multiforme vissuta quotidianamente dai portoghesi residenti nel nostro Paese, ma un simile blackout in quest'altro contesto risulta comunque sorprendente.
Questa giustificata attenzione alle questioni interne non nega, infatti, il vantaggio di aggiungere alcune informazioni sullo stato della politica e dell'economia altrove e, in particolare, per quanto riguarda i loro effetti sul Portogallo.
In effetti, e soprattutto in un pianeta che si è 'rimpicciolito' sensibilmente negli ultimi decenni - grazie al boom turistico a tutto campo generato dalla preziosa collaborazione di mezzi di trasporto accessibili e, al contempo, da vari programmi culturali pensati in un'ottica di maggiore prossimità tra le persone - la nozione stessa di 'straniero' o di 'straniero' è stata nel frattempo relegata con garbo sullo scaffale delle curiosità museali: oggi, informazioni 'esterne' e 'interne' si intersecano inevitabilmente - nel discorso e nella pratica - e quindi mi sembra strano ignorare, in un contesto elettorale come quello che si sta svolgendo tra noi, questa prospettiva complementare.
Mi riferisco, a titolo puramente esemplificativo, all’Europa, ai paesi di lingua portoghese e, in generale, alle nostre comunità sparse nel mondo:
Innanzitutto, un richiamo all'attenzione su questo continente che è nostro e con il quale ci relazioniamo personalmente , tenendo conto che sarà naturalmente lo spazio in cui i nostri giovani si muoveranno principalmente nel corso della loro "vita attiva". Sebbene sia vero che si dovrebbe fare di tutto per evitare che le persone lascino il nostro Paese per recarsi altrove, sarebbe controproducente e inutile prefiggersi questo come unico ed esclusivo obiettivo: non solo la generazione appena entrata nel "mercato del lavoro" - e ancor di più quelle che la seguiranno - è connessa quasi stabilmente e digitalmente "in rete" con interlocutori dislocati in molteplici coordinate geografiche, ma alcune delle loro assenze fisiche dal Portogallo in determinati periodi di tempo potrebbero tradursi in un reale beneficio per il loro progresso, sia a livello tecnico che umano. Di fronte a questo esercizio di vasi comunicanti costanti, sarebbe del tutto giustificato sfidare i politici in lizza a esprimersi, superando così pubblicamente una prospettiva troppo limitata, sia in termini di "fuga dei cervelli" che di fissazione nazionalista.
In secondo luogo, i rapporti con i nostri "fratelli lusofoni" : sono così consolidati da non richiedere corrispondenti considerazioni da parte degli uomini e delle donne che ricopriranno importanti ruoli governativi e legislativi tra noi? Per quanto riguarda specificamente il Brasile, quel "fratello" che ormai, anche ammettendo la possibilità di scegliere il nostro Jorge Jesus alla guida della sua nazionale di calcio, sembra nutrire e coltivare una speciale affinità con gli altri membri dei BRICS, sorprende il silenzio assordante: è giusto e lecito pensare che stiamo attraversando un periodo così positivo nei rapporti reciproci, che tutto sta avvenendo in automatico? La recente emigrazione di centinaia di migliaia di brasiliani nel nostro Paese costituisce una prova inconfutabile del successo di una diplomazia bilaterale attiva? Oppure, invece e in ultima analisi, questa ondata di immigrazione (benvenuta) si verifica esclusivamente in risposta a una chiara volontà espressa dalla società civile brasiliana per ragioni di percepita insicurezza e precaria situazione economica, quindi estranea ad eventuali negoziati tra Itimaraty e il Palácio das Necessidades? In ogni caso, ritengo che noi, elettori, abbiamo il dovere di una fondata chiarificazione, soprattutto per quanto riguarda le prevedibili conseguenze economiche e sociali interne che deriveranno da questo movimento umano di vasta portata.
In terzo luogo, l'evoluzione qualitativa e quantitativa della nostra diaspora: per decenni e poiché si riconosceva che, legalmente o a passi da gigante, lasciare il Portogallo era effettivamente la soluzione per i nostri compatrioti che volevano sfuggire all'estrema povertà che dilagava nella nostra terra, la preoccupazione principale era il possibile sostegno di questi emigranti nella difficile fase di riconversione e integrazione nelle ricche società che li accoglievano. Allo stesso tempo, questo esodo ha avuto una conseguenza positiva: l'invio regolare di rimesse di risparmio in Portogallo, con conseguente impulso alla nostra economia. La situazione attuale è sostanzialmente diversa, sia per quanto riguarda la migliore formazione accademica dei nostri emigrati, sia per quanto riguarda l'attuale instabilità europea (e mondiale) a cui stiamo assistendo, con i Paesi in cui si sono stabiliti gli espatriati che "subiscono in prima persona" anche gli effetti di questa fine di un ciclo di crescita continua. Supponendo che questo triste status quo possa caratterizzare i prossimi anni e decenni, la logica suggerisce che una gran parte di questi emigranti tornerà gradualmente, andando ad ingrossare le fila di coloro che, nonostante le loro elevate qualifiche, non riescono a trovare un lavoro, un'occupazione o un'occupazione consona alle loro capacità professionali. Naturalmente, almeno per una parte di questo gruppo, può accadere il contrario, purché la massa critica sia sufficiente a consentire l'auspicato sviluppo sostenibile della nostra economia. In teoria tutto è possibile.
Sarebbe stato molto utile sapere qualcosa anche su questo argomento scottante.
observador