I gemelli digitali per combattere i tumori rari

Cosa accadrebbe se ogni persona potesse avere un gemello digitale, sempre aggiornato, su cui simulare l’evoluzione clinica e testare in anticipo gli effetti delle cure? È l’obiettivo alla base del paradigma del digital twin applicato alla sanità, e in particolare dell’omonimo progetto di Humanitas appena finanziato dal Ministero dell’Istruzione del Merito con 3 milioni di euro nell’ambito del programma Fisa, Fondo Italiano Scienze Applicate. Il progetto prende le mosse da un bisogno molto concreto: migliorare il trattamento dei tumori rari, che colpiscono meno di 6 persone ogni 100mila all’anno e che – tuttavia – rappresentano nel complesso circa un quarto delle neoplasie. In questo ambito, la scarsità di dati e la difficoltà nel condurre studi clinici su larga scala costituiscono da un limite intrinseco, che però grazie a questo approccio potrebbe essere finalmente superato. A coordinare il progetto è Matteo Della Porta, responsabile Leucemie dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas e docente di Humanitas University: il centro, peraltro, ha maturato esperienza in questo ambito grazie a progetti europei come GenoMed4All, tramite cui sono già stati realizzati algoritmi per migliorare le scelte terapeutiche in ematologia.
Matteo Della Porta, che impatti concreti possono avere i gemelli digitali quando applicati al mondo della salute?
L’obiettivo è ambizioso: mettere a punto repliche digitali dei pazienti, capaci di simulare l’evoluzione delle malattie e la risposta ai trattamenti, a partire dalla combinazione di dati clinici, biologici e genomici. L’uso dell’intelligenza artificiale serve a fornire uno strumento di supporto decisionale per i medici, soprattutto in contesti di incertezza come per le patologie oncologiche rare, dove spesso mancano studi clinici su larga scala. Il sistema sarà progettato per essere utilizzabile nella pratica quotidiana dell’ospedale, con un’interfaccia semplice, validazioni cliniche lungo tutte le fasi e grande attenzione alla qualità dei dati. È previsto anche il coinvolgimento attivo dei pazienti: il modello, infatti, considera aspetti legati alla qualità di vita, in modo che le decisioni terapeutiche possano tenere conto non solo dell’efficacia in sé dei trattamenti, ma anche dell’impatto delle cure sullo stato di benessere generale.
In questo momento la sfida legata all’intelligenza artificiale è di generare soluzioni funzionali e che diano risultati tangibili, e soprattutto riuscirci in tempi non troppo lunghi: che orizzonte ha il progetto?
Il Fondo è strutturato su cinque anni, con l’obiettivo finale di sviluppare una piattaforma potenzialmente certificabile per l’uso clinico. Tuttavia, il primo prototipo completo sarà pronto già entro due anni: si tratta di un digital twin focalizzato sulle leucemie rare, per cui Humanitas dispone già di un’ampia base di dati raccolti grazie a precedenti progetti, nazionali ed europei. Questo consente di accelerare la fase di sviluppo, saltando la fase di raccolta iniziale. Nei tre anni successivi il modello verrà esteso ad altre patologie oncologiche rare, con particolare attenzione agli aspetti regolatori e ai criteri richiesti per una futura certificazione. Il cronoprogramma include anche fasi di validazione, test di usabilità e confronto con utenti finali, per permettere un trasferimento nella pratica clinica con affidabilità e trasparenza.
Oggi in tutto il mondo si sta investendo in questa direzione: qual è il valore aggiunto dello sviluppo di un progetto del genere nel nostro paese?
L’Italia rappresenta un contesto favorevole per sviluppare modelli predittivi in ambito clinico, soprattutto per via della qualità dei dati sanitari già disponibili. In particolare, i registri oncologici italiani e i dati raccolti dai centri IRCCS come Humanitas offrono una base solida e ben strutturata per addestrare i modelli di IA. A differenza di altri paesi, dove l’accesso ai dati è più frammentato o meno standardizzato, il contesto italiano permette un lavoro più integrato e realistico. Questo è un elemento chiave per progetti che puntano sulla precisione del modello e sulla possibilità di usarlo direttamente in ambito clinico. Inoltre, la difficoltà di trasferire dati sanitari oltre i confini nazionali rafforza l’idea di sviluppare soluzioni localmente, con dati già validati e una rete di centri che collaborano in modo stabile. L’obiettivo non è competere con i grandi player tecnologici, ma costruire strumenti affidabili, centrati sulle esigenze reali della sanità.
Accanto alle tecnologie digitali, occorrono anche le giuste competenze: quali figure professionali sono coinvolte?
Oltre ai medici, partecipano data scientist, bioinformatici, biologi e biotecnologi, per affrontare sia gli aspetti medico-sanitari sia quelli computazionali. Il contributo degli informatici è fondamentale nello sviluppo dell’architettura del sistema e degli algoritmi di IA, ma altrettanto centrale è il ruolo dei clinici, che partecipano alla definizione degli obiettivi e alla validazione dei modelli. Sono coinvolti due centri di Humanitas: il Cancer Center diretto da Armando Santoro per l’expertise medica e clinica, e l’AI Center guidato da Victor Savevski per lo sviluppo tecnologico. Inoltre, il progetto prevede il reclutamento di nuovo personale con competenze specifiche in intelligenza artificiale applicata alla salute, per consolidare il gruppo di lavoro in modo stabile e dedicato. L’interazione costante tra chi sviluppa e chi usa la tecnologia è uno dei principi alla base del progetto.
La Repubblica