Nel 2050 fragile un italiano su dieci ma le cure a casa sono una «burla»

Assistere i malati cronici a casa e non in ospedale? La linea di demarcazione tra prenderli in carico e prendersi gioco di loro è, ahimè, molto sottile. Anzi: barcolliamo pericolosamente su quel crinale, purtroppo più con il rischio di cadere nell’inganno che cogliendo l’occasione di erogare finalmente un servizio di civiltà sanitaria agli italiani.
Lo stato delle cose è sotto gli occhi di tutti, come acclarato da statistiche e analisi terze: il Paese è travolto dalle cronicità, contando oltre 29 milioni di italiani affetti da una o più patologie croniche, quasi 9 milioni di anziani con almeno una patologia cronica grave e circa 4 milioni di over-65 non autosufficienti. La prospettiva, secondo l’Istat, è ancora più complicata poiché si prevede che nel 2050, a fronte di una popolazione di 54,4 milioni di persone, un italiano su dieci sarà anziano e non autosufficiente, peraltro nel contesto di un sistema ospedaliero che, dall’attuale affanno, involverà in asfissia.
Troppe le criticità inevase: il mancato adeguamento delle tariffe al costo del lavoro, il contingentamento delle risorse, le disparità regionali, il ridimensionamento dell’ospedalità, il ritardo sul territorio, il problema delle liste d’attesa e della conseguente rinuncia alle cure, le derive privatistiche, l’autoreferenzialità delle professioni. Tutto ciò, in una tendenza al disordine del servizio pubblico, in grado di esprimere anche capacità assistenziale elevata e di qualità, ma acutamente disomogeneo perché privo di una strategia unitaria.
L’inevitabile conseguenza di questo quadro è la frattura sociale drammatica tra chi riesce a curarsi e chi no, ora per problemi economici, ora per le liste di attesa o le difficoltà d’accesso. Intollerabile, perché confligge con il principio di equità su cui si fonda il Sistema sanitario nazionale. Il D.L. 73/2024 rischia di portare il giovamento di un pannicello caldo, poiché prevede soltanto misure per la riduzione dei tempi di attesa di prestazioni diagnostiche e specialistiche.
E invece l’assistenza primaria, evocata a più voci già nel pieno della buriana da Covid alla stregua di una irrinunciabile panacea, sembra infine ridotta a comparsa nel quadro della riqualificazione dei modelli di cura, tanto da viziare i dati per il raggiungimento dell’obiettivo imposto dal Pnrr: nella voce dell’Assistenza domiciliare entrano, come nel pentolone di una brodaglia, l’assistenza domiciliare programmata dai medici di medicina generale e i percorsi ambulatoriali. Per una media totale di 16 accessi annui, di cui 12 infermieristici: non una reale, congrua presa in carico, appunto, ma una presa in giro bella e buona. Ciò mentre i quotidiani strillano: “Troppi ricoveri inutili, con le cure a casa risparmi per oltre 3 miliardi”, “1,3 milioni di degenze inappropriate, costi altissimi per il Servizio sanitario”, “Serve più assistenza infermieristica domiciliare, ma mancano 65mila operatori e le Case di comunità sono al palo”.
ilsole24ore