Alzheimer, il deficit di litio potrebbe avere un ruolo

Dai laboratori della Harvard Medical School di Boston, Massachusetts, arriva uno spiraglio di speranza per la malattia di Alzheimer: un team di neuroscienziati ha scoperto che il litio è presente naturalmente nel cervello, che un suo deficit è associato ai segni tipici della malattia e che ripristinarne i livelli potrebbe proteggere dall'invecchiamento cerebrale. E persino invertirlo. La studio è pubblicato sulla rivista Nature e - è bene dirlo subito - è ancora molto preliminare, ossia condotto solo su topi e sui tessuti cerebrali umani. I risultati vanno quindi presi con cautela: la ricerca suggerisce la carenza di litio nel cervello come possibile fattore di rischio per le demenze e come potenziale bersaglio terapeutico.
Il ruolo del litioDecantato nel diciannovesimo secolo per i suoi molteplici effetti benefici sulla salute e per l’umore (compare persino come stimolante in una delle prime ricette della bibita 7-Up, riporta Nature News), il litio è usato dagli anni Settanta come trattamento per il disturbo bipolare e come stabilizzatore dell'umore. La comunità scientifica notò presto che, tra le persone con disturbo bipolare, l'invecchiamento cerebrale sembrava più lento in coloro che assumevano litio rispetto a coloro che non lo assumevano. Intanto, da studi epidemiologici era emerso che le popolazioni che vivevano in regioni in cui le riserve idriche contenevano tracce di litio avevano tassi di demenza relativamente più bassi. Gli studi clinici per testare gli effetti del litio sulle demenze, però, hanno finora dato risultati contrastanti. Il nuovo studio si inserisce in questo filone e dimostra, per la prima volta, che il litio è naturalmente presente nel cervello, dove svolge un importante ruolo fisiologico.
Il deficit di litio e il declino cognitivoDiverse ricerche hanno finora riportato una disregolazione dei livelli degli ioni di metalli nella corteccia cerebrale di persone con Alzheimer. A partire da queste conoscenze, gli autori hanno analizzato i livelli di 27 diversi metalli. Come spiega un articolo su Nature News and Views, sebbene la quantità di zinco, un metallo abbondante nel cervello sano, fosse risultata aumentata e quella di rame fosse diminuita nei soggetti affetti da Alzheimer (come già emerso in ricerche precedenti), il litio era l’unico metallo con livelli significativamente ridotti rispetto a quelli del sangue.
Dopo aver svolto una serie di esperimenti sui topi e analizzato il tessuto cerebrale umano, Bruce Yankner e colleghi hanno notato che quando le concentrazioni di litio nel cervello diminuiscono, si sviluppano la perdita di memoria e i segni neurologici caratteristici della malattia di Alzheimer, cioè le placche amiloidi. In particolare, i livelli di litio erano inferiori nelle aree del cervello umano colpite dalla malattia rispetto alle regioni non colpite. Non solo: hanno osservato che il metallo si lega alle placche amiloidi, e questo ne riduce la quantità disponibile per le funzioni cerebrali. Questo, ipotizzano gli autori, potrebbe innescare un circolo vizioso: meno litio nel cervello porta a più placche amiloidi, che a loro volta portano a una quantità ancora inferiore di litio. Gli scienziati riportano, infatti, che la carenza di litio si aggrava con il progredire della malattia.
Una possibile strategia terapeuticaIl passo successivo è stato tentare di somministrare litio agli animali. Invece che utilizzare il carbonato di litio, testato nella maggior parte degli studi clinici e che le placche amiloidi intrappolano facilmente, hanno testato basse dosi di orotato di litio. Le analisi suggeriscono che il composto possa portare a un ripristino dell’area danneggiata e a un recupero della memoria, senza mostrare tossicità. Ovviamente tutto questo dovrà essere dimostrato in studi clinici sugli esseri umani.
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