Ucraina, Meloni stringe sul decreto armi: 'Eserciti forti evitano le guerre'

Dopo le scintille sulla manovra, non dovranno esserci problemi sul decreto Ucraina. Giorgia Meloni sta ancora smaltendo l'irritazione per il caos dell'altra notte in Senato, e non vuole un bis sulla proroga di un anno del sostegno militare a Kiev. Ci sono i margini per qualche concessione alla Lega, con una formula che include anche aiuti destinati alla popolazione civile, e si parla anche di un riferimento nel preambolo ai negoziati in corso, ma la sostanza non cambierà rispetto ai decreti che in questi quattro anni hanno permesso di inviare dodici pacchetti di rifornimenti.
Non sono casuali le puntualizzazioni della premier in videocollegamento con i contingenti militari all'estero, quando ha parlato della formula latina 'si vis pacem para bellum', se vuoi la pace prepara la guerra: "Non è, come molti pensano, un messaggio bellicista. Tutt'altro, è un messaggio pragmatico, solo una forza militare credibile allontana la guerra". Un messaggio anche all'interno del suo governo. "È la forza degli eserciti e la loro credibilità lo strumento più efficace per combattere le guerre. Il dialogo, la diplomazia, le buone intenzioni certo servono ma devono poggiare su basi solide", l'avvertimento di Meloni che, in collegamento dal Comando operativo di vertice interforze ringrazia i connazionali in divisa che in vari scenari di crisi sono "apprezzati e invocati" perché sanno "combinare capacità e umanità, forza e amore", sanno "come combattere" e anche, "meglio di chiunque altro", cosa "si debba fare perché non si arrivi a dover combattere".
La differenza, sottolinea, "è la capacità che abbiamo avuto di gettare quel cuore oltre l'ostacolo, che ci ha fatto resistere anche nei territori più complessi e difficili". Non saranno però protagonisti in Ucraina, perché la linea del governo - chiarita più volte da Meloni - è non inviare truppe sul terreno, ma l'Italia continuerà a garantire il sostegno a Kiev. Il decreto per la proroga della cessione di armi è atteso nell'ultimo Consiglio dei ministri dell'anno, il 29 dicembre, e da giorni vanno avanti i tentativi di mediazione con la Lega, da dove continua a filtrare ottimismo sulla "discontinuità" rispetto ai decreti precedenti.
Dall'opposizione Enrico Borghi di Iv avverte che "gli scossoni nella maggioranza visti con la manovra continueranno con il decreto aiuti all'Ucraina: la Lega vuole introdurre un dl trimestrale, più bradisismo di così faccio fatica a vederlo". Ma quell'ipotesi è stata messa sul tavolo e rapidamente accantonata. Comunque non se ne è parlato in queste ore - anche perché erano assenti Guido Crosetto (Difesa) e Antonio Tajani (Esteri) - nel Consiglio dei ministri del pomeriggio che ha approvato il decreto per far svolgere il referendum sulla giustizia in due giorni, domenica e lunedì (tra il 5 e il 20 marzo, o alla fine del mese, la data è ancora da stabilire). E la premier - che ai suoi ministri ha fatto un piccolo regalo natalizio - non ha fatto cenno neanche alle frizioni sulla manovra.
"C'era molta tranquillità, non ho visto nervosismi", ha assicurato il ministro dello Sport Andrea Abodi. Ma in realtà - si ragiona nella maggioranza - le tensioni nate per l'emendamento sulle pensioni devono ancora sedimentarsi. Giovanni Donzelli, responsabile organizzazione di FdI, al Corriere della Sera ha evidenziato che "la sintesi della leadership arriva sempre rapida ed efficace. Sulla politica estera, come sul resto, non abbiamo mai votato in modo difforme". E ha ridotto il caos sulla manovra a "divergenze tra il ministro Giorgetti della Lega e alcuni parlamentari dello stesso partito". Una tesi contrastata da Massimiliano Romeo: "Fa comodo trovare il capro espiatorio nella Lega ma non è questo il tema - ha frenato il capogruppo leghista al Senato - "Adesso FdI dice che è tutta una roba che riguarda lo scontro tra leghisti. Beh mi sembra che anche sul condono e sui condomini qualcuno sia tornato indietro...".
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