Ma Salvini dimentica tutti i “tàcches al tram” che s’è preso da Meloni

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Ma Salvini dimentica tutti i “tàcches al tram” che s’è preso da Meloni

Ma Salvini dimentica tutti i “tàcches al tram” che s’è preso da Meloni

L’opzione dell’invio di truppe in Ucraina, l’estensione dell’art. 5 della Nato: il vicepremier parla a nuora (Macron) perché suocera (Meloni) intenda. Un’opposizione interna alla maggioranza che su molti temi è stata più volte ignorata o sconfessata

Tàcches a chi? L’articolo che segue è scritto senza alcuna ironia anche se l’argomento di cui ci occupiamo presenta alcuni tratti che oscillano delicatamente tra il comico, il grottesco e il surreale. Il protagonista di questo articolo è Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture, vicepresidente del Consiglio, capo della Lega, uno dei partiti più importanti d’Italia, nonché capo del partito ormai più antico del paese, e l’occasione della nostra riflessione, per nulla ironica, è la polemica molto alta, molto profonda, molto intensa, andata in scena negli ultimi giorni tra il suddetto ministro e il presidente francese Emmanuel Macron. L’oggetto della polemica lo conoscete. Salvini ha delicatamente mandato a quel paese il presidente francese con un francesismo, per così dire, e lo ha invitato ad attaccarsi al tram, “Tàcches al tram”, rispetto a un’idea ventilata da Macron: la possibilità di inviare truppe europee in Ucraina a difendere Kyiv dalle eventuali esondazioni russe successive al futuro accordo di pace se mai ci sarà tra Ucraina e Russia. Tàcches al tram.

Quello che a Salvini sfugge è che l’opzione dell’invio delle truppe in Ucraina per difendere Kyiv dalle eventuali future esondazioni della Russia non è una teoria francese ma è un tassello del mosaico proposto dal governo italiano di cui Salvini è vicepremier. Non sappiamo se Salvini sia stato informato che il governo Meloni, di cui il capo della Lega è vicepremier, ha proposto a Donald Trump, e agli alleati europei, un lodo per arrivare alla pace in Ucraina che prevede l’estensione dell’articolo 5 della Nato anche all’Ucraina, senza far entrare l’Ucraina nella Nato. Non sappiamo se Salvini sia stato informato ma l’articolo 5 del Trattato Nord Atlantico (firmato a Washington il 4 aprile 1949) dice in sintesi questo: “Le Parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse, in Europa o in Nord America, sarà considerato come un attacco diretto contro tutte e, di conseguenza, convengono che, se si verifica un tale attacco armato, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa individuale o collettiva riconosciuto dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, assisterà la Parte o le Parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre Parti, l’azione che giudicherà necessaria, compreso l’uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza della regione nord-atlantica”. Proprio così: compreso l’uso della forza armata. Salvini, dunque, come spesso gli è capitato in questi due anni, parla a nuora (Macron) perché suocera intenda (Meloni) e non sono poche le occasioni in cui negli ultimi tempi la linea di Salvini è stata accolta dal governo Meloni come se questo fosse un fastidioso fruscio di fondo. Se ci si pensa bene, la novità vera dello scontro tra Salvini e Macron, il quale ha fatto richiamare all’ordine al ministero degli Esteri francese l’ambasciatrice italiana a Parigi, è che in Europa c’è ancora qualcuno di rilevante che quando ascolta Salvini lo prende sul serio e gli chiede conto delle sue parole: ormai una rarità. In Italia, negli ultimi tempi, a dare poco peso alle parole del vicepremier sono i suoi stessi alleati al governo, gli stessi che un queste ore consigliano alla Francia di non prendere sul serio Salvini, è un ragazzo, sapete come fa, non sa quello che dice, e gli stessi che su molti temi trattano il leader della Lega come un simpatico burlone, desideroso di trovare un modo per avere attenzione. Dal punto di vista politico, il governo Meloni-Tajani-Salvini ha mollato a Salvini un’infinità di schiaffi senza precedenti su una moltitudine mostruosa di temi. Sul terreno dell’immigrazione, il governo Meloni ha archiviato in modo sonoro il salvinismo, trasformando su questo dossier la collaborazione con l’Europa non in un tabù ma in una virtù della maggioranza di centrodestra, arrivando a sostenere il patto sull’asilo e sui migranti che la Lega in Europa ha scelto di bocciare in Parlamento. Sul terreno dell’economia, il governo Meloni ha archiviato in modo sonoro il salvinismo, arrivando a sostenere la riforma del Patto di stabilità, che la Lega in Europa ha scelto di bocciare. Sul terreno dell’energia, il governo Meloni ha scelto di sostenere la fine del mercato tutelato, andando contro la posizione di Salvini. Sul terreno del posizionamento in Europa, Meloni ha archiviato in modo sonoro il salvinismo, scegliendo di schierare il proprio partito, Fratelli d’Italia, e dunque buona parte del governo, contro la linea Salvini, sostenendo la presidenza di Ursula von der Leyen, detestata da Salvini. Sulla politica estera, il governo di cui Salvini è vicepremier in Europa è schierato contro i principali alleati di Salvini, da Le Pen a Orbán passando per il ritrovato amore di Salvini chiamato AfD, e anche l’impegno forte mostrato dal governo Meloni sulla difesa dell’Ucraina non rispecchia esattamente la linea della Lega, che non a caso scarica su Macron e von der Leyen le critiche che vorrebbe fare a Meloni ma che per disciplina non ha il coraggio di esprimere in pubblico. Sulle pensioni, ancora, il governo Meloni-Salvini-Giorgetti ha rifilato schiaffi mica male alla linea Salvini, e il governo di cui Salvini è vicepremier verrà ricordato nel futuro per aver capovolto la dottrina Salvini sulle pensioni, non incentivando più nessuno ad andare in pensione il prima possibile, come fu con il disastro di quota 100, ma trasformando in un punto di forza della credibilità del governo il numero sempre inferiore di italiani desiderosi di andare in pensione presto, arrivando persino, grazie alla linea Giorgetti, a disincentivare le pensioni anticipate (“i dati dimostrano che dove gli over 60 sono più attivi, l’occupazione giovanile cresce”, ha detto il ministro dell’Economia due giorni fa, rottamando anni di retorica salviniana sulla necessità di mandare in pensione più persone possibili per “garantire un futuro ai giovani”). E persino sui temi dell’autonomia differenziata il governo Meloni ha dato alla linea Salvini molte ragioni per sentirsi fuori posto, ed è un fatto che nell’attesa di rafforzare l’autonomia per le regioni del nord fino a oggi l’unica autonomia rafforzata dal governo Meloni-Salvini è quella dell’odiatissima, almeno dalla Lega, Roma Capitale. A Salvini, qualche volta, Meloni offre qualche contentino retorico, come sui vaccini, come sugli extraprofitti alle banche, qualche contentino di potere, come sulla Rai, dove la Lega la fa da padrona, qualche Leoncavallo sgomberato, e poco altro. E d’altronde a dare poco peso alle parole di Salvini negli ultimi tempi è stato lo stesso Salvini che nelle sue positive azioni di governo, ce ne sono state, ha smentito spesso le parole di Salvini nel passato. Il meraviglioso sì di Salvini al Ponte sullo Stretto, che Dio lo assista, è in contraddizione con i molti “no” al Ponte urlati anni fa da Salvini. Il saggio “sì” al nucleare di Salvini è in contraddizione con i molti “no” detti da Salvini anni fa sullo stesso tema. I tanti “sì” detti dal ministro Salvini all’alta velocità sono in contraddizione con i molti baci inviati nel passato al popolo No Tav. I tanti voti in Parlamento contro la Russia di Putin sono in contraddizione con gli accordi firmati fino a qualche anno fa tra la Lega e il partito di Putin. E anche il sostegno offerto dalla Lega al processo di emancipazione del suo governo dal rapporto con la Cina è in contraddizione con la storia recente del nostro paese che testimonia la presenza appena sei anni fa della Lega nello stesso governo (di cui Salvini era vicepremier) che firmò (con tanto di attivismo di un membro del governo leghista di nome Geraci) un accordo strutturale con la Cina (la famosa Via della seta) prontamente archiviato dal governo Meloni (di cui Salvini è vicepremier). La presenza di Salvini al governo, infrastrutture a parte, su cui il ministro gode di un inconfessabile apprezzamento trasversale che arriva anche da molti sindaci del Pd, non sempre lascia il segno, per così dire, e per questo il fatto che vi sia un politico importante in Europa che quando parla Salvini lo prende sul serio dovrebbe essere per la Lega un motivo di orgoglio, in una stagione politica durante la quale i “Tàcches al tram” più clamorosi non sono quelli espliciti e periodici rivolti da Salvini al nemico Macron ma sono quelli impliciti e ricorrenti rivolti a Salvini dall’amica Meloni, che di fronte alle parole di Salvini spesso si comporta in modo opposto a come si comporta Macron: lo ascolta, non lo prende sul serio e piuttosto di chiedergli conto delle sue affermazioni si limita semplicemente a fare l’opposto. Senza ironia: tàcches a chi?

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