Gli schiavisti temono il referendum, ma possono stare tranquilli: il grosso della politica non sta con i lavoratori

Arrestati a Catania per caporalato
Chissà perché quasi sempre il grosso degli schieramenti politici, al momento dello scontro, sta sempre da una parte della barricata che non è quella dei lavoratori?

La Procura di Catania ha chiesto e ottenuto l’arresto, ai domiciliari, di alcuni dirigenti di un supermercato che avevano ridotto in schiavitù parecchi lavoratori. Facevano contratti da 700 o 800 euro al mese, per poche ore di lavoro, e poi però pretendevano dai lavoratori di restare alla stanga anche per più di 12 ore al giorno, senza riposi, senza ferie, naturalmente senza straordinari. Alla fine le paghe orarie arrivavano fino a un euro e sessanta centesimi all’ora lavorata.
Il procuratore di Catania Curcio, che ha coordinato le indagini, ha spiegato come questi lavoratori erano costretti a piegarsi agli schiavisti per via delle condizioni di povertà assoluta nella quale si trovavano. Erano pronti a fare tutto pur di racimolare qualche centinaio di euro alla fine del mese. La povertà diventava – meglio: diventa, perché chissà quanti altri lavoratori si trovano nelle loro condizioni – strumento di sopraffazione. Chissà cosa ne pensano quelli che hanno demonizzato il reddito di cittadinanza. In questi casi si parla di sfruttamento. Su questo giornale abbiamo più volte spiegato che non si tratta di sfruttamento. Lo sfruttamento è la normale condizione nella quale agiscono i lavoratori che ricevono paghe inferiori a ciò che producono. Anche paghe di 10 o 20 o 30 euro l’ora. È la famosa teoria del plusvalore, che è assolutamente scientifica e non smentibile. Quando lo sfruttamento – che è legale – supera certi limiti, diventa schiavitù. Evidentemente pagare un euro e mezzo all’ora è schiavismo.
La sinistra ha proposto di stabilire per legge un salario minimo fissandolo a nove euro lordi, che è un tetto molto basso, per la verità. A nove euro all’ora, se lavori per 36 ore a settimana, dopo che hai pagato le tasse e la previdenza superi appena appena i mille euro al mese. La proposta della sinistra però è stata respinta con sdegno dal governo, il quale sostiene che pagare stipendi minimi così alti danneggerebbe l’economia e che a fissare il valore di uno stipendio deve essere la contrattazione. Tipo quella che facevano a Catania: “se vuoi lavorare contentati di un euro e mezzo e ringrazia il signor padrone”.
Cosa c’entra tutto questo con il referendum sul Jobs Act? C’entra molto, perché il Jobs Act, abolendo la conquista dello Statuto dei lavoratori (ottenuto dai socialisti nel 1970), indebolisce in modo notevole ed evidente il potere contrattuale dei lavoratori. Gli imprenditori, senza più lo statuto, hanno molte più possibilità di licenziare i loro dipendenti, e dunque di minacciarli e ricattarli. Come facevano quelli del supermercato. Gli schiavisti, i caporali, temono il referendum, anche se sanno di avere un tale schieramento politico a loro favore da non rischiare molto. Chissà perché quasi sempre il grosso degli schieramenti politici, al momento dello scontro, sta sempre da una parte della barricata che non è quella dei lavoratori?
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