L’industria del pallone: dallo sport fino ai bilanci


E’ LO SPORT che suscita più interessi – compresi quelli economici – e passione. Anche e soprattutto in Italia, patria...
E’ LO SPORT che suscita più interessi – compresi quelli economici – e passione. Anche e soprattutto in Italia, patria storica del calcio. Ma quella che è da tempo una vera e propria industria soffre della mancanza di sostenibilità finanziaria. Sebbene qualche segnale di miglioramento si sia avvertito negli ultimi anni ed esistano eccezioni di società – una per tutte la bergamasca Atalanta – che presentano conti in ordine, il panorama delle società di calcio italiane dalle serie C fino alla A, non è certo lusinghiero. Secondo il report FIGC 2024 riferito al biennio 2022/2023 il fatturato complessivo del calcio professionistico italiano è stato di 4,251 miliardi a fronte di un indebitamento aggregato di 5,7 miliardi. Un volume di affari, avverte Francesco D’Angelo, professore di diritto commerciale e di diritto della crisi e dell’insolvenza nell’Università di Firenze, avvocato, socio fondatore di Tombari D’Angelo, studio legale "boutique" con sedi in Milano, Firenze e Bologna, specializzato in diritto dell’impresa e delle società, del tutto insufficiente a fare fronte a un debito di questa entità.
Fra le ombre del settore, purtroppo spicca anche un altro numero, quello della perdita aggregata del calcio professionistico italiano nelle ultime 5 stagioni (dal 2018 al 2022/2023): pari a ben 4,9 miliardi. L’impatto complessivo del calcio (tenendo conto anche dell’indotto) è però consistente, ammontando a circa 19 miliardi e contribuisce per 11 miliardi circa al Pil italiano, con un gettito fiscale di circa 3,3 ma anche debiti con l’erario attorno ai 500 milioni. La suddivisione dei ricavi è per circa il 35/37% derivante dai diritti televisivi, per circa il 17/20% dalle plusvalenze, per il 19/22% da sponsor e ricavi commerciali, per l’8/13% dai ricavi stadio e per il restante si tratta di altri ricavi e contributi in conto esercizio. Sui costi però pesano per il 70% quelli del lavoro, aumentati con le norme introdotte dalla legge Bosnam, gli oneri sempre più onerosi pagati agli agenti mentre il recente decreto che ha portato da 5 a 8 anni la possibilità di fissare i contratti dei giocatori, sottolinea l’avvocato D’Angelo, potrebbe servire a calmierare i costi legando maggiormente l’atleta alla maglia. Il mix di pochi ricavi rispetto ai costi ha fatto sì che, guardando ai bilanci delle società nei 16 anni di esperienza del report, circa l’80% sia stato chiuso in perdita. E dal 2000 a oggi sono "fallite" quasi 200 società di calcio (la gran parte, più silenziosa, di serie C) tra le quali una società gloriosa come la Fiorentina per cui il professor D’Angelo ha fatto parte del team legale che ha seguito la crisi finanziaria della squadra viola. La gestione della crisi delle società di calcio negli ultimi anni ha visto il ricorso a nuovi strumenti, basta citare i casi di Samp, Genoa e Reggina, anche se quest’ultima è poi fallita. Il che ha suscitato polemiche, ricorda sempre l’avvocato D’Angelo, per la possibilità di ottenere importanti stralci del debito fiscale con la conseguente distorsione però della concorrenza e del principio di parità delle armi fra le squadre.
Ma come è possibile per società che dovrebbero essere sottoposte a controlli e regole più severe rispetto alle società di diritto comune, arrivare ad avere debiti fiscali non pagati per importi tanto rilevanti? Nel caso della Reggina, lo stralcio di quasi il 95% del debito erariale (la transazione prevedeva il pagamento di solo 750 mila euro su 15,7 milioni di debito complessivo ma la società è poi fallita a causa del tardivo pagamento dei debiti). Per la Sampdoria il pagamento rateizzato di circa il 35% del debito complessivo e dunque circa 17 milioni su 48 mentre nel caso del Genoa uno stralcio del 65% e il rateizzo del restante 35% del debito erariale (35 milioni su 107) "Si tratta di soluzioni del tutto legittime per il nostro ordinamento ’comune’ – avverte il professor D’Angelo che partecipa da tempo come relatore a seminari e convegni in tema di sostenibilità finanziaria e di crisi di società calcistiche -: il fallimento è infatti la soluzione estrema e se vi sono alternative convenienti esse debbono essere perseguite. Certo è che è sotto gli occhi di tutti come l’esdebitazione (soprattutto per debiti fiscali) crei una distorsione del principio di parità di condizioni fra società calcistiche. Anche per questo le norme federali sono state integrate e modificate nel senso di introdurre restrizioni (impossibilità di partecipare a sessioni di calcio mercato) per le società che fanno ricorso a strumenti di soluzione della crisi. Ma si tratta di restrizioni considerate abbastanza blande e non sufficienti a tutelare il principio della concorrenza fra le società".
Questo testimonia come non sempre vi sia un coordinamento fra regole di diritto comune e regole di diritto sportivo. E come servano più efficaci sistemi di controllo finanziario sulle società. In questo senso, pur non essendo indipendente sull’esempio dell’Inghilterra, la nuova commissione Abodi per la vigilanza sulle società sportive potrebbe migliorare la situazione. Ma per alimentare un percorso virtuoso in grado di creare le condizioni di maggiore sostenibilità economico/finanziaria serve ben altro. "Non esiste una soluzione, anche se i bilanci rivelano l’importanza dei risultati sportivi sul conto economico, basta citare il caso dell’Inter – conclude l’avvocato D’Angelo – ma solo un metodo. Ovvero un approccio strategico che guardi al mondo del calcio in una prospettiva di medio periodo e che sia in grado di incentivare o consentire investimenti infrastrutturali a partire dagli stadi di proprietà e formazione. Per formazione si intende non soltanto la (necessaria e insostituibile) attenzione ai settori sportivi giovanili ma anche la formazione della classe dirigente sapendo che le società di calcio sono imprese".
Quotidiano Nazionale