Gaza e l’ipocrisia occidentale: pace a comando e aratri trasformati in armi

La mobilitazione “su comando” per Gaza, mentre nel cuore dell’Europa infuria una guerra devastante, non sminuisce in sé il valore civile delle manifestazioni per la pace.
Ogni voce che chiede la fine della violenza è preziosa. Tuttavia, ciò che desta sgomento è la palese contraddizione di governi e istituzioni occidentali che, da un lato, si presentano come difensori dei civili palestinesi, mentre dall’altro sono in prima fila nella riconversione delle economie nazionali in macchine belliche, convertendo aratri in armi e industrie civili in catene di montaggio militari.
Questa posizione è, perdonatemi, profondamente falsa. È difficile non vedere in queste prese di posizione un ennesimo atto di propaganda, piuttosto che un’autentica attenzione verso le vittime.
L’ipocrisia istituzionaleDa più di due anni, lo stesso establishment che oggi si indigna per Gaza ha sostenuto, giustificato e alimentato un conflitto in Europa, ignorando sistematicamente le stragi di civili nel Donbass e il prezzo umanitario della guerra in Ucraina. Per mesi si è parlato solo di “difesa della democrazia”, mentre i tavoli diplomatici venivano svuotati e la NATO avanzava nella logica della guerra per procura. Ora, improvvisamente, ci si scopre paladini della pace e della solidarietà umanitaria.
Come ha osservato il sociologo francese Emmanuel Todd, «la selettività morale dell’Occidente è ormai evidente: un morto vale solo se serve alla narrativa politica del momento». In altre parole, l’indignazione non nasce dalla sofferenza delle popolazioni, ma dalle necessità del consenso interno.
Il Medioriente usato come teatroVale la pena ricordare che molti di questi governi sono gli stessi che, negli ultimi decenni, hanno devastato il Medioriente con guerre “esportatrici di democrazia” che hanno approfondito le linee di faglia confessionali e favorito l’esodo di intere comunità cristiane. Il risultato è stato un deserto di convivenza, dove prima esistevano mosaici culturali e religiosi.
Lo stesso mons. Luigi Padovese, assassinato in Turchia nel 2010, ammoniva: «Non c’è pace senza verità. E la verità è che la manipolazione delle differenze religiose in Medio Oriente ha radici nelle strategie delle potenze esterne».
Strumentalizzazione politicaL’interesse reale per i palestinesi appare secondario. L’uso mediatico della tragedia serve soprattutto a rilanciare una leadership europea in caduta libera, a recuperare punti d’immagine presso le opinioni pubbliche sempre più scettiche, e – soprattutto – a punire Donald Trump, che con la sua linea negoziale verso Mosca ha messo in crisi la narrazione dell’unità occidentale.
In questa chiave, Gaza diventa un ulteriore strumento di pressione politica. Mentre la guerra in Ucraina mostra segni di logoramento e i popoli europei si interrogano sui sacrifici imposti dalle politiche di riarmo, la bandiera della solidarietà verso i palestinesi diventa un modo per mascherare l’assenza di vera politica estera e il continuo allineamento a logiche globaliste.
La pace non a comandoLa pace non può essere invocata “a comando”, quando conviene, e ignorata quando ostacola gli interessi geopolitici. Se la mobilitazione per Gaza fosse autentica, sarebbe accompagnata da un ripensamento radicale della strategia occidentale, dal rifiuto della guerra come strumento politico e dalla rinuncia alla militarizzazione delle nostre economie.
Altrimenti, ci troveremo di fronte a una nuova pagina di ipocrisia: un Occidente che parla di carità e inclusione, ma che in realtà sacrifica i popoli sull’altare della propaganda.
Come ha scritto lo storico John Laughland: «Il linguaggio dei diritti umani, senza la coerenza della verità, diventa l’arma più sofisticata per perpetuare la guerra».
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