Wimbledon, Sinner in semifinale con Djokovic che piega Cobolli

LONDRA. Ad una semifinale tutta azzurra a Wimbledon - che vertigine... - ci avevamo fatto la bocca, ma va bene anche così. L’eterno Djokovic l’ha spuntata contro il presente colorato di futuro di Cobolli, ma Sinner contro Shelton è tornato Sinner: e questa, dopo la giornata thriller di ieri, è già una grande notizia. Uno Slam del resto è una macchina complessa, per arrivare in fondo e domarlo servono pazienza, talento, resistenza. E fortuna.
Jannik martedì avrebbe potuto rotolare fuori dai Doherty Gates contro Dimitrov, il destino ha deciso diversamente accanendosi contro il povero Grigor e ieri nei quarti Jannik è rinato come una Fenice dai capelli rossi, mettendo insieme tre set dei suoi (7-6 6-4 6-4) contro la potenza grezza e smanicata di Ben Shelton. In mattinata si era allenato alle traiettorie mancine ingaggiando come sparring Jacopo Vasamì, il domani italiano che avanza, in campo si è presentato con il braccio destro coperto da un manicotto antivibrazioni che nasconde un «tape» utile per proteggere il gomito infortunato.
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Wimbledon, niente miracolo per Cobolli: Djokovic va in semifinale contro Sinner
Ma il suo braccio non ha tremato mai, appena «un piccolo dolore» su una palla scentrata. I numeri lo dicono meglio: 69 per cento di prime, 33 vincenti, 7 ace e appena due punti concessi sul servizio nel primo set.
Ah, aggiungeteci i soliti fulmini da fondo. «Mai vista una velocità di palla del genere», ha ammesso alla fine Shelton, contuso e infelice. «Non la vedi letteralmente arrivare».
Contro Dimitrov il turbo non aveva funzionato. «Grigor ha giocato un match pazzesco ma è vero che quel match mi ha fatto capire che dovevo alzare proprio la velocità di palla, perché contro certi giocatori non puoi farne a meno. Il servizio lo puoi gestire con angoli e rotazioni, ma il diritto deve viaggiare».
Jannik ha spiegato che non mai temuto di non poter giocare («Al massimo si trattava di capire la percentuale della forma») e non si è curato molto del mistero che due giorni fa era nato attorno alle sue condizioni: «Io faccio il mio, non il giornalista. I miei allenatori non volevano neppure che scendessi in campo, ma io non riesco a stare fermo, quindi ho deciso di provare 20 minuti. E ho scelto di farlo al coperto proprio per evitare sguardi indiscreti».
Ora vuole prendersi la rivincita su Djokovic, che due anni fa, sempre in semifinale, lo congedò in tre set (mentre nel 2022 nei quarti gliene aveva rimontati due). «Sarà una partita diversa. Ora ho più fiducia in me stesso, ho lavorato tanto. Io cerco sempre di capire che giocatore sono sulle varie superfici. Quest’anno credo di essere migliorato sulla terra e anche sull’erba».
Chi sull’erba ha fatto passi da gigante è Flavio Cobolli, un torneo da protagonista assoluto, un «quarto» nobilissimo che certifica il nuovo ruolo. Contro un Djokovic che pare aver perso per strada almeno dieci anni era difficile fare di meglio. Quattro set di cui tre tiratissimi (6-7 6-2 7-5 6-4), emozionanti per tutti tranne che per Hugh Grant, clamorosamente assopito alle spalle della Regina Camilla nel Royal Box.
«Meritavo il quinto set», dice Flavio, che da lunedì sarà numero 19 del mondo. «All’inizio ho sentito un po’ l’emozione, ma ho giocato una grande partita, riparto da quella». Ad applaudirlo c’era anche Fabio Fognini, da oggi ufficialmente il suo manager: «Devo ringraziarlo, se sono qui è anche merito suo». E chissà che per il «Fogna» in futuro non ci sia in serbo un ruolo da supercoach. Djokovic è alla sua 53ª semifinale Slam - 14 a Wimbledon, un record - e nel finale con una «spaccata» involontaria ha fatto agitare moglie e figlio, ma è più carico che mai. «Complimenti a Flavio, un grande match. Wimbledon è il torneo più speciale, battere i giovani e arrivare così avanti è quello che mi spinge a continuare. E non vedo l’ora di incontrare Jannik». E noi di ammirarli.
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