Povero di fuoriclasse e non all'altezza, ma bentornato campionato: alla fine ti amiamo

Lo critichiamo, perché si presta a molte critiche. E non è bello vederlo così, raffazzonato, povero di grandi fuoriclasse, certamente non all’altezza del glorioso passato da campionato più bello (e ricco) del mondo. Paghiamo la visione miope (e in certi casi - scusatemi - proprio cialtronesca) delle governance che, nei club e nelle istituzioni, hanno sempre arrangiato il presente, magari anche vincente, senza un minimo di pianificazione di un qualche futuro.
Siamo il calcio dei progetti a lunga scadenza che durano sei mesi e dei debiti per finanziare i debiti (così, all’infinito) e in cui i successi (anche quelli della Nazionale) sono spesso serviti a coprire buchi profondi. Siamo quelli degli stadi bellissimi, basta accontentarsi di vederli nei luccicanti rendering degli architetti, che i mattoni costano (eppure con le sole commissioni degli agenti della Serie A degli ultimi cinque anni, 973 milioni, di stadi nuovi ne costruivi almeno quattro). Siamo quelli dei giocatori (o dei bidoni) comprati con pagherò, firmati in scioltezza da dirigenti consapevoli che tanto li scaricheranno su quelli che arriveranno dopo di loro, in un folle turnover che ribalta le società ogni due o tre anni (e la chiamano programmazione). Siamo quelli i cui media invitano a sagge e morigerate gestioni del bilancio, ma poi si stracciano le vesti se non arrivano i campioni. Siamo questa roba qui, ormai: non una cosa bella.
Eppure oggi si ricomincia, fischio d’inizio alle 18.30, c’è subito il Napoli, poi in serata il Milan di Allegri, e inizia a frizzare la curiosità. Perché, sì, non è più il campionato più bello del mondo, ma lo amiamo lo stesso, ne apprezziamo pure alcuni difetti, come si fa quando si è davvero innamorati, e tolleriamo gli altri. Non è il miglior torneo del mondo, ma è il nostro, parla di noi e di come siamo fatti (per fortuna o purtroppo, come diceva Gaber). E non possiamo farne a meno, perché certe rivalità sono assi che uniscono l’Italia più di qualsiasi ponte, perché è un rito che ancora non è andato in obsolescenza, tenuto in vita dal dibattito infinito e dal polemizzare di cui siamo e saremo sempre indiscussi campioni del mondo. E così, nonostante tutto e tutti, oggi pomeriggio lo sussurreremo, per non farci sentire proprio da tutti: bentornato campionato, amore mio.
Tuttosport