Pajola spinge la Virtus: “Prima Venezia poi il titolo”

Bologna, 18 maggio 2025 – Capitan Futuro in redazione. Ma sì, è proprio lui, Alessandro Pajola: scuote la testa, muove i riccioli e si prepara a rispondere a un fuoco di fila di domande. Virtus, sogni tricolori, derby, leadership, Nazionale e Pozzecco. Se in campo la dote migliore è la difesa – nessuno recupera tanti palloni quanto lui –, al ’Carlino’ si dimostra un attaccante di razza. Ha solo 25 anni, Capitan Futuro. Ma parla e ragiona come un veterano. Un veterano bianconero con 489 presenze. Davanti a lui solo Binelli, Brunamonti e Villalta.

Pajola, partiamo subito forte.
“Facciamolo”.
La parola scudetto la spaventa?
“No, anzi. Speriamo di vincerlo. Ma sappiamo bene che lo scudetto si conquista affrontando una partita alla volta. Vogliamo iniziare bene. Sapendo anche che il cammino sarà comunque lungo”.
Come sta? L’ultima gara, con Trapani, l’ha vista soprattutto dalla panchina.
“Sono soggetto a qualche distorsione di troppo. Per questo sono sempre molto fasciato alle caviglie. Questo ha ridotto l’effetto della distorsione. Ho affrontato le terapie del caso. Sto meglio”.
Intanto è arrivato Taylor.
“Me lo ricordavo come avversario.Un ragazzo ostico. Più basso di me. Di solito con quelli più piccoli, soffro parecchio. Per fortuna che gioca con noi. Credo che Brandon ci possa dare una mano. Siamo nel momento più importante e difficile della stagione: più siamo e meglio è”.
A fine marzo avete perso prima a Trieste, poi a Belgrado con la Stella Rossa. Forse il momento più brutto della stagione.
“Sì, eravamo irriconoscibili”.
Ma cos’era accaduto?
“L’Eurolega ti impone trasferte lunghe, che tolgono forze ed energie. Ci siamo trovati in difficoltà. Quando è diventato chiaro che non avremmo più potuto aspirare a nulla, le difficoltà sono cresciute. L’atmosfera si è fatta pesante”.
Come ne siete usciti?
“Ci siamo parlati, confrontati. La squadra ha ritrovato equilibri e certezze. E siamo ripartiti”.
Cosa vi ha portato Ivanovic?
“Un cambio tecnico genera sempre una scintilla. Una reazione. E’ stato così anche per noi. Ma, al di là del momento iniziale, Dusko ha portato un approccio e un’abitudine diverse. Quando si lavora, lo si fa sempre e solo al 100 per cento. Poi, senza rivoluzionare nulla, ha portato il suo modo di vedere la pallacanestro. Ma senza stravolgere nulla. Beli fa canestro quando esce dai blocchi? Ha continuato a farlo”.
Le manca il derby?
“Sì, a me di più che ad altri. Per colpa del Covid ho saltato gli ultimi. Ogni tanto ci vediamo anche con i ragazzi della Fortitudo. Il derby vale tantissimo. Ricordo il primo all’Unipol Arena, in A2. Poi quello successivo al PalaDozza. Che clima”.
La Virtus è una squadra che ha cinque over 30. Ma in campo, spesso e volentieri, è lei a richiamare l’attenzione dei compagni. Quasi fosse un allenatore aggiunto.
“Fa parte del mio ruolo. Del mio modo di vedere la pallacanestro”.
Lei non passa per essere un grande realizzatore. Ma il 50 per cento dei punti di Belinelli…
“Tra noi c’è intesa. Quell’intesa che si crea tra ragazzi che sanno giocare a basket. S’è creato subito qualcosa da quando è tornato alla Virtus. Ne abbiamo approfittato, perché, senza tante parole, ci capiamo con uno sguardo. Io capisco dove si sistemerà, lui comprende dove gli arriverà il pallone”.
Lei, ci passi l’esagerazione, è quasi una spugna. Sembra imitare il meglio dei suoi compagni. Il modo di tirare di Belinelli, la visuale di Teodosic e…
“Mica solo questi. Fin da piccolo ho cercato di imitare le giocate dei compagni più forti. Le provo e le riprovo, per capire se sono in grado. E continuo, senza lasciarmi ossessionare. Ma ho preso qualcosa di Markovic e, più in generale, da tutti i compagni di squadra”.
Il giocatore al quale si ispira maggiormente?
“Direi Kyle Weems”.
Ma lei quando ha cominciato a giocare?
“Ho un fratello più grande. Lo seguivo sempre, ad Ancona. Poi mi mettevo vicino al campo. E giocavo anche io. Ero ossessionato dal pallone al punto che, alla fine, l’allenatore mi ha detto che potevo giocare pure io. Avevo tre anni. La mia categoria non esisteva. Così sono finito a giocare con i più grandi. Ero di casa al PalaRossini”.
Che farà in estate?
“Vado in Giappone”.
Che ha già visto in occasione delle Olimpiadi.
“Eravamo ancora in epoca Covid. Ero in Giappone, ma ho visitato molto poco quel paese. Conto di rifarmi”.
A proposito di Olimpiadi. Il ct azzurro, nel frattempo, è diventato Pozzecco. Un play come lei. Anche se, ci passi la forzatura, più ’matto’.
“Ho un bel rapporto con il Poz. Un grande allenatore, una grandissima persona. A me, al di là del talento, interessa l’aspetto umano. E il Poz da questo punto di vista, è davvero un numero uno”.
L’ha visto giocare?
“Non tanto. Ho riguardato dei filmati anche se, da piccolo, magari, seguivo più la Nba. La fantasia del Poz era grande. Cerco di prendere spunto anche da quella”.
Le sue partite più belle in maglia Virtus?
“Forse la finale di EuroCup, quando vincemmo il trofeo. Ma fu addirittura meglio la semifinale. Trionfammo in Spagna, a Valencia. E quando esci da un posto dove, magari, ti hanno insultato dall’inizio alla fine vale doppio. Poi, direi la quarta gara della finale tricolore del 2021. Quella che ci consegnò lo scudetto”.
Ha visto il Bologna e la finale di Coppa Italia?
“Sì, mi ha emozionato. Mi è piaciuto il trasporto della città, le bandiere, il senso di appartenenza. Le chiacchiere fatte sul pianerottolo di casa. La gente che indossava le maglie rossoblù. Le parole spese al bar, il trasporto dei tifosi. E quello che mi ha detto un ragazzo: ‘Roma? No, seguirò la partita con mio padre’. Ecco, mi sono rivisto”.
Tifoso del Bologna anche lei?
“No, ma ho pensato a mio padre, grande sostenitore dell’Ancona. Una squadra che adesso milita in serie C. Ma se un giorno dovesse vivere una favola come quella del Bologna, beh, mi piacerebbe vedere una finale di quel genere al fianco di mio padre”.
İl Resto Del Carlino