Al via da Torino la Vuelta di Spagna. Senza Pogacar il favorito è Vingegaard, in pole anche Ciccone

Forse, ma è una lettura un po’ maligna, è una specie di compensazione. Non vincendo più i grandi Giri, ci consoliamo ospitando le partenze delle più importanti corse straniere. L’anno scorso l’Italia ospitò le Grand Depart del Tour de France, quest’anno la Salida Official della Vuelta di Spagna, l’ultimo grande giro della stagione che partirà questo sabato dalla Reggia di Venaria per arrivare a Madrid il prossimo 14 settembre.
E’ la prima volta in assoluto, in una storia di 80 anni, che la corsa spagnola prende il via dal nostro Paese, in particolare dal Piemonte, cerimoniere ormai collaudato dei grande eventi sportivi che ospiterà le prime 4 tappe della manifestazione prima di trasferirsi in terra ispanica.
La Vuelta, un tempo figlia del dio minore del ciclismo, non è più una corsa di ripiego. Certo, il Giro d’Italia e soprattutto il Tour hanno un’altra storia, un altro spessore, un altro impatto mediatico. Però anche la Vuelta ha ormai un suo appeal, a cominciare dai partecipanti che, nonostante l’assenza-presenza di Tadej Pogacar (di cui parleremo a parte), sono quasi tutti di prima fila.
Per cominciare, il grande favorito, è proprio l’eterno avversario di Pogacar, quel Jonas Vingegaard che al Tour quest’anno non è mai riuscito ad impensierire seriamente lo sloveno. Il danese, in cerca di riscatto, punta al suo primo successo alla Vuelta dopo essere giunto secondo nel 2023.
Jonas sa che tutti i fari dell’attenzione sono puntati su di lui. Ha già vinto due Tour, però ha bisogno di fare una specie di tagliando su sé stesso. Ormai ha 28 anni, un’età in cui qualche bilancio si comincia a fare, soprattutto se ci si è dovuti confrontare con un ingombrante asso come Pogacar.
All’ultimo Tour Vingegaard è sembrato arrivato a un suo punto limite. Come se il meglio l’avesse già dato. E’ veramente così? Si riesce a stare per così tanto tempo a questi livelli senza conseguenze collaterali? E il grande tema che, in un modo allusivo e piuttosto irritato, ha aperto il vincitore del Tour poco prima dell’arrivo a Parigi.
«Sono al punto in cui mi chiedo perchè sono ancora qui», ha detto Pogacar. «Non vedo l’ora che il Tour finisca per potermi divertire di nuovo». Parole un po’ sibilline, probabilmente dettate dall’enorme pressione, che hanno scatenato tanti sussurri e grida su un suo eventuale ritiro prima del previsto dal ciclismo.
Chiaramente il tema è ghiotto, da “burnout agonistico”, e si può allargare anche ad altri protagonisti dello sport tutto, costretti a una indigestione di gare, in nome del profitto e di un meccanismo fagocitante che non prevede pause. Lo abbiamo visto nel tennis con Sinner, costretto al ritiro per un virus nella finale di Cincinnati dove la calura era peggiore di quella del Tour. E nel calcio al Mondiale per club dove, in luglio, squadre ormai alla frutta per una stagione dispendiosa hanno dovuto fare il giro degli Stati Uniti sotto la minaccia alternata di temperature roventi e fulmini temporaleschi.
Il mantra è: vincere e non fermarsi mai. Pena il declassamento. Anche se si gareggia in condizioni estreme. Anche se il fisico o la testa lanciano segnali di allarme.
Per questo i borbottii di Pogacar hanno destato un certo rumore. Perchè proprio lui, il magnifico Cannibale, l’erede designato di Eddy Merckx, è l’emblema dell’invincibilità. Con quel suo modo magnifico e arrogante di affrontare le corse. Sempre sul pezzo, mai sazio, sempre voglioso di arrivare primo anche quando i saggi della carovana gli consigliano di non fare l’ingordo, di lasciar qualcosa agli altri. Avanti, sempre avanti, scattando 60 chilometri prima, un attacco dietro l’altro.
«Così io concepisco la bici», ha detto Pogacar. Eppure, anche in questo straordinario campione con la testa da adolescente, qualcosa si è inceppato. Se è solo un granellino di sabbia lo vedremo al Mondiale di Kigali in Ruanda (21-28 settembre) dove Tadej cercherà di difendere il suo titolo di campione del mondo. Il circuito, con salite e discese da montagne russe, è l’ideale per lui che probabilmente, non partecipando alla Vuelta, potrà concentrarsi solo su questo appuntamento.
Tornando proprio alla Vuelta, due sono gli aspetti interessanti. Quello che ci riguarda da vicino è l’agguerrita presenza italiana. Finalmente, dopo tanto basso profilo, partiamo con un gruppo di corridori (18) che possono essere protagonisti sia nelle tappe che in classifica. Il nome più accreditato è quello di Giulio Ciccone, 30 anni, abruzzese della Lidl Trek, alla decima stagione tra i professionisti con 13 successi complessivi. Dopo il ritiro dal Giro d’Italia, Ciccone ha vinto la Classica di San Sebastian e una tappa della Vuelta a Burgos. Scalatore dotato di un ottimo spunto, Giulio può sia lottare per il podio che per una bella vittoria di tappa. Potrebbe anche puntare alla maglia di miglior scalatore, impresa che gli è già riuscita sia al Giro d’Italia (2019) sia al Tour (2023). Un traguardo, se lo centrasse, che lo farebbe entrare nella storia del ciclismo mondiale. Dovrà però decidersi, cosa che non è sempre il suo forte, ma questa volta forse è la volta buona.
Oltre a Ciccone, un altro da tener d’occhio è Giulio Pellizzari, 21 anni, marchigiano, sesto all’ultimo Giro d’Italia. Il suo compito, alla Red Bull, sarà quello di supportare il suo capitano, l’inglese Hai Hindley. Ma il ragazzo, lo hanno capito nel suo team, può stupire e quindi potrebbe godere di una certa libertà d’azione. Non bisogna dimenticare, sempre per la classifica, Antonio Tiberi, 25 anni, della Bahrain Victorius. Da tempo promette, da sempre è in crescita, ora potrebbe battere un colpo. A dargli una mano ci sarà l’inossidabile Damiano Caruso, che dall’alto dei suoi 37 anni lo potrebbe supportare nel ruolo di regista. Da ricordare, per le cronometro, Filippo Ganna, reduce, dopo la brutta caduta al Tour, anche da una fastidiosa influenza che però dovrebbe aver superato.
Il secondo aspetto interessante sono gli altri big che cercheranno di rendere la vita difficile a Vingegaard. Il primo è il portoghese Joao Almeida, 27 anni, anche lui malamente caduto al Tour. Almeida, leader della Uae Emirates, è il principale rivale di Vingegaard. Nella sua squadra però scalpita lo spagnolo Juan Ayuso, giovane talento pronto a competere anche con il suo capitano. Le premesse per una buona convivenza non sono delle migliori.
Da non dimenticare, infine, Ben O’Connor, secondo nel 2024. L’australiano è in ottima forma e con una squadra (Jayco AlUla) costruita attorno a lui. Come sempre sarà una Vuelta molto dura e selettiva. Con 21 tappe, 3180 km di corsa e undici arrivi in salita per la felicità degli scalatori che andranno a caccia della maglia rossa, quella che porterà a Madrid il vincitore della Vuelta.
1)Torino-Novara (187 km)
2)Alba-Limone Piemonte (157 km)
3) San Maurizio Canavese -Ceres (139 km)
4) Susa-Voiron (192 km)
Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.
Iscrivitiilsole24ore