Investire a impatto nel private equity non è solo etico, è strategico


L’idea che investire in società o asset che puntano a perseguire obiettivi sociali o ambientali positivi (impact investing) significhi dover accettare rendimenti finanziari inferiori è falsa. Nel settore del private equity, i dati più recenti mostrano infatti che gli investimenti a impatto non solo sono competitivi dal punto di vista finanziario, ma in molti casi riescono anche a sovraperformare le strategie tradizionali. A dirlo è un nuovo studio realizzato da Schroders e la Saïd Business School dell’Università di Oxford, su oltre 250 società quotate in borsa che sono state approvate attraverso l’Impact Framework proprietario di Schroders, che sfrutta i 25 anni di esperienza pionieristica del gestore a impatto BlueOrchard e copre oltre un decennio di performance.
Dalla ricerca, commentata da Nadina Stodiek, Co-Head of Impact Management dell’azienda, Paul Lamacraft, Head of Sustainability and Impact, Private Equity, e Catherine Macaulay, Co-Head of Impact Management, è emerso che i portafogli a impatto hanno generato rendimenti assoluti e corretti per il rischio solidi e competitivi rispetto a portafogli più ampi e senza vincoli, dimostrando anche una volatilità inferiore e drawdown più contenuti, riducendo così il rischio di ribasso e dimostrando una maggiore stabilità durante le fasi di ribasso del mercato.
Lo studio ha inoltre rilevato che le società con un maggiore allineamento dei ricavi a prodotti e servizi orientati all’impatto (materialità di impatto) hanno generato rendimenti finanziari superiori, suggerendo che l’impatto stesso può essere un motore della performance finanziaria e una fonte di alfa.
Secondo il rapporto Sizing the Impact Investing Market 2024 del Global Impact Investing Network (GIIN), attualmente a livello globale sono gestiti quasi 1,6 trilioni di dollari di AUM nell’impact investing da oltre 3.900 organizzazioni. Inoltre, secondo il rapporto GIIN “State of the Market 2024”, basato sul suo sondaggio annuale, il 43% di tutte le masse in gestione con strategie a impatto è allocato specificamente nel private equity, rendendolo di gran lunga la più grande asset class per l’impact investing. Un consistente 73% degli intervistati ha detto di avere almeno una parte del proprio patrimonio gestito con strategie a impatto nel private equity.

Il cuore pulsante dell’impact investing nel private equity risiede nella capacità di coniugare rendimento e impatto misurabile. Secondo i dati raccolti da Schroders Capital, il set di operazioni identificate come a impatto – per un impegno complessivo di 1,8 miliardi di dollari – ha registrato un tasso interno di rendimento annuo (TIR) pari al 21%, che sale al 30% se si considerano solo le operazioni già almeno parzialmente realizzate. Questo dato è da confrontare con i rendimenti decennali del settore per gli investimenti buyout e growth, pari rispettivamente al 16,5% e al 13,7%.
Ancor più rilevante è la composizione di questi portafogli. Oltre il 70% delle operazioni è concentrato nei settori sanitario e tecnologico, aree altamente esposte a megatrend strutturali come la digitalizzazione e l’innovazione sanitaria, due leve fondamentali anche per la transizione sostenibile. La diversificazione geografica è ampia, con operazioni distribuite tra Europa, Stati Uniti e Asia, rispecchiando l’allocazione complessiva della piattaforma Schroders.

Dunque su base annua, gli investimenti a impatto di private equity di Schroders Capital hanno generalmente sovraperformato tanto che anche le previsioni future fanno pensare che questa tendenza continuerà.
Questa sovraperformance è riscontrabile anche nei dati di settore più generali, a conferma del fatto che si tratta di una tendenza diffusa e non di una dinamica localizzata. Ad esempio, i dati pubblicati nel 2020 da Preqin, basati sui rendimenti di circa 1.700 fondi di private equity con vintage compresi tra il 2010 e il 2017, hanno mostrato che i fondi a impatto e ESG hanno registrato performance in linea con i fondi di private equity senza vincoli, con una performance leggermente superiore da parte dei fondi impact.
Inoltre uno studio pubblicato nel novembre 2023 da Pensions for Purpose, un’organizzazione britannica che promuove gli investimenti a impatto tra i fondi pensione del Regno Unito, ha rilevato che i fondi di private equity focalizzati sull’impatto hanno sovraperformato i mercati pubblici. L’analisi ha mostrato che il TIR netto medio trimestrale tra il primo trimestre del 2014 e il primo trimestre del 2023 per il gruppo di fondi di private equity a impatto è stato dell’1,7%, leggermente superiore al rendimento netto trimestrale dell’indice FTSE All World Index dell’1,6%. Anche in questo caso, la volatilità è risultata inferiore, con una dispersione delle performance più ridotta e una deviazione standard media del 3,5%, rispetto all’8% dei mercati pubblici.
In sintesi i dati di settore confermano che non solo i rendimenti dell’impact investing nel private equity sono competitivi ma che, in alcuni casi, sono anche superiori ai rendimenti del mercato più ampio. Allo stesso tempo, i dati dimostrano anche che i rendimenti degli investimenti a impatto sono complessivamente molto meno volatili rispetto ai rendimenti del mercato in generale. Ciò può sembrare inizialmente controintuitivo, dato che questi investimenti sono altamente vincolati, ma è altrettanto vero che gli investimenti a impatto sono altamente selettivi e gestiti attivamente, con una propensione verso settori e temi in linea con i megatrend di lungo termine, come la transizione energetica globale.
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