Inizia a sentirsi il peso dei dazi. E Trump attacca Powell (Dimon lo difende)

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Inizia a sentirsi il peso dei dazi. E Trump attacca Powell (Dimon lo difende)

Inizia a sentirsi il peso dei dazi. E Trump attacca Powell (Dimon lo difende)

Poco, ma inizia già a farsi sentire l’effetto dei dazi sui prezzi.

Il numero: +2,7%. Ieri il Dipartimento del lavoro statunitense ha pubblicato i dati sull’inflazione di giugno che ha segnato un rialzo del 2,7% sull’anno precedente, più di quanto è stato registrato a maggio, quando i prezzi hanno avuto un incremento del 2,4%.

Dato che non stupisce… Se lo aspettavano un po’ tutti gli economisti per cui il dato non è giunto inaspettato, anzi è stato anche leggermente inferiore al consensus degli analisti.

... ma che dà un segnale. E’ stata la conferma, però, che le tariffe del presidente Trump stanno iniziando a pesare e che le aziende cominciano, per ora solo in parte, a trasferire sui consumatori i rincari in dogana.

Cosa costa di più. Gli aumenti più consistenti sono stati per i prezzi dei giocatoli con il rincaro più alto dal 2021 a oggi, dei mobili e delle attrezzature sportive (dal 2022), degli elettrodomestici (degli ultimi cinque anni), ma è salito anche il costo dell’abbigliamento.

Tutti articoli e prodotti che tendono ad essere più sensibili ai dazi, anche se gran parte dell’impatto sembra per ora essere stato ammortizzato dalle aziende.

L’allarme di Walmart. A metà maggio è stato il gigante della grande distribuzione Walmart ad annunciare per primo che avrebbe alzato i prezzi a seguito delle nuove norme introdotte da Trump a partire dalla fine di quel mese o comunque durante l’estate.

Le parole del Cfo. “L'entità e la rapidità con cui questi aumenti ci stanno colpendo sono senza precedenti nella storia”, aveva dichiarato John David Rainey, direttore finanziario di Walmart, ma aveva anche avvisato che l'impatto della guerra commerciale sui consumatori è ancora limitato.

Sotto controllo, ma... E in effetti il rincaro di giugno resta all’interno di un limite accettabile, anzi molti analisti hanno tirato un sospiro di sollievo quando hanno visto che le proprie stime non sono state disattese al rialzo. Ma la sensazione è davvero che il peggio debba ancora arrivare.

Le ultime mosse di Trump. Negli ultimi giorni l'amministrazione Trump ha intensificato le minacce tariffarie nei confronti dei principali partner commerciali, annunciando che a partire dal primo agosto gli Stati Uniti applicheranno dazi al 30% sui prodotti provenienti dal Messico e dall'Unione Europea.

La difficoltà delle previsioni. Tutti gli economisti concordano che i dazi aumenteranno i prezzi, ma non sono in sintonia su quale sarà l’impatto e quando inizierà a manifestarsi completamente. Anche perché molte aziende hanno accumulato scorte di prodotti negli Stati Uniti, procrastinando di fatto le ricadute delle misure.

Citi e l’inflazione. Gli esperti della banca statunitense Citi prevedono “un ulteriore aumento dei prezzi dei beni nei prossimi mesi” e calcolano che già a settembre l’inflazione potrebbe arrivare a salire del 3,2% e continuare così fino alla fine dell’anno.

I dubbi dei banchieri. Il dato dell’inflazione di giugno, tuttavia, non scioglie nemmeno i dubbi della Fed, perché lascia spazio sia per le colombe, che dicono che i tassi debbano essere tagliati subito perché l’inflazione non è esplosa, sia per i falchi contrari a ogni intervento senza una palese evidenza.

Cosa stima il mercato. Il peso dei dazi sui prezzi non è al momento così grande da far cambiare le previsioni più diffuse tra gli operatori che vogliono due tagli dei tassi da qui a fine anno a partire da settembre. Il che significa che fra due settimane la Fed dovrebbe lasciare i tassi ancora invariati.

“Wait and see”. Vista l’elevata incertezza, non sembra sbagliato l’approccio “aspetta e vedi” annunciato dal presidente della Fed, Jerome Powell, che Trump ha più volte detto di voler cambiare. Si tratta di valutare di volta in volta i dati dell’inflazione e del mercato del lavoro per poi agire sul costo del denaro.

Il nuovo attacco del di Trump. Il presidente Trump non ha tuttavia mancato di far sentire la sua pressione su Powell attaccandolo nuovamente dal suo social Truth dopo i dati sull’inflazione: “Prezzi al consumo BASSI. Abbassate il tasso della Fed, ADESSO!!!”.

E in un altro posto ha aggiunto che “La Fed dovrebbe tagliare i tassi di 3 punti. L’inflazione è molto bassa. Risparmieremo mille miliardi di dollari in un anno”.

La situazione. Oggi il tasso della Fed è al 4,5% e gli Usa pagano 749 miliardi di interessi l’anno sul loro debito pari a 36,5 mila miliardi di cui 28mila collocati sul mercato.

Il Fomc. Nell’ultima riunione, la maggior parte dei membri del comitato della Fed (Fomc) ha indicato di voler attendere che l'impatto inflazionistico dei dazi sia più chiaro prima di procedere a qualsiasi riduzione, mentre solo due membri hanno dichiarato di essere disponibili a un taglio già questo mese.

L’appoggio di Dimon alla Fed. Sulla questione è intervenuto anche Jamie Dimon, l’amministratore delegato di Jp Morgan, la più grande banca al mondo, non sul taglio dei tassi, ma sull’indipendenza della Fed.

“Da quello che ho visto, il presidente ha detto che non intende rimuovere Jay Powell. L'indipendenza della Fed è assolutamente fondamentale, non solo per l'attuale presidente della Fed, che rispetto, ma anche per il prossimo presidente. Giocare con la Fed può spesso avere conseguenze negative, l'esatto contrario di ciò che si potrebbe sperare”.

La Repubblica

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