Naso nel cono: sorbetto al cocco, nel nome della noce

A metà luglio, il festival Montreuil Paradise ha celebrato la sua settima edizione al Parc des Beaumonts (Seine-Saint-Denis). Dopo la caccia al tesoro, gli slalom tra i laboratori di graffiti e il truccabimbi, si è formata una coda interminabile davanti allo stand di Natty Kilti. L'attrazione principale di questo stand dedicato alla dieta italiana (una cucina vegetariana o addirittura vegana resa popolare dal rastafarianesimo) era il sorbetto vegano al cocco. E " ci sarà un'attesa di trenta minuti!", ha gridato alla folla Rudy, un cinquantenne con i dreadlocks legati dietro la schiena.
Battendo i piedi con impazienza, i clienti intonavano in coro qualche onomatopea a testimonianza della loro frustrazione e determinazione nell'affrontare il caldo per il gelato tropicale. I primi aromi ci riportarono alla metà degli anni 2000, durante un battesimo caraibico a Choisy-le-Roi (Val-de-Marne). Avendo familiarità con il Mont Blanc (un dolce caraibico con crema di cocco), un amico mi porse una coppetta: "Non pensarci. Falla cadere, altrimenti girerai!". Da allora, la popolarità del dessert è cresciuta. Lo si può trovare nei ristoranti creoli tradizionali, ma anche nei locali di street food caraibico che propongono due prodotti di punta: il bokit (un panino fritto della Guadalupa) e questo sorbetto al cocco.
Nella coda, speravo di girare di nuovo, con gli occhi fissi sulla gelatiera artigianale fatta di un secchiello di legno e una vasca cilindrica di metallo, circondata da enormi blocchi di ghiaccio cosparsi di grandi
Libération